Omelia in occasione della S. Messa in Coena Domini

29-03-2018

O Dio che ci ha riuniti per celebrare la santa Cena, nella quale il tuo unico Figlio, prima di consegnarsi alla morte, affidò alla Chiesa il nuovo ed eterno sacrificio, convito nuziale del suo amore, fa che dalla partecipazione a così grande mistero attingiamo pienezza di carità e di vita”.

Con questa preghiera siamo stati introdotti a questa celebrazione della Cena del Signore, che inizia il triduo pasquale che attraverso la passione ci porterà a celebrare la resurrezione di Gesù.

Nella santa Cena noi rinnoviamo il Sacrificio di Gesù, quello stesso sacrificio che celebreremo in particolare domani sera nella Passione del Signore.

Papa Francesco in una recente sua catechesi sulla Messa ha detto: “Celebrando il memoriale della morte e risurrezione del Signore, nell’attesa del suo ritorno glorioso, la Chiesa offre al Padre il sacrificio che riconcilia cielo e terra: offre il sacrificio pasquale di Cristo offrendosi con Lui e chiedendo, in virtù dello Spirito Santo, di diventare «in Cristo un solo corpo e un solo spirito».

L’ Eucarestia diventa il nutrimento spirituale principale per un cristiano, in quanto da questo grande mistero attingiamo pienezza di carità e di vita.

Il nostro affannarsi quotidiano in tante attività, la frenesia quotidiana, i molteplici impegni che riempiono le nostre giornate rischiano di essere sterili se non sono nutrite dal “pane del cielo” che è Cristo stesso che si offre a noi come sostegno vitale.

Sono convinto che non solo l’Eucarestia domenicale ma anche quella feriale potrebbe diventare una sosta indispensabile per nutrire la nostra fede.

La prima lettura ci presenta la cena pasquale ebraica che segna l’inizio dell’esodo, la Pasqua ebraica che ha condotto gli ebrei dalla schiavitù d’Egitto alla terra promessa. In questa cena, viene sacrificato l’agnello pasquale e con il suo sangue, dice il testo biblico, vengono segnati gli stipiti e gli architravi delle case abitate dai figli del popolo eletto e il Signore vedrà il sangue e passerà oltre.

Il nuovo agnello offerto per la nuova ed eterna alleanza è Cristo stesso, il quale viene immolato una volta per sempre per la nostra salvezza.

Ogni volta nell’eucarestia viviamo il memoriale della Pasqua del Signore.

Ancora Papa Francesco ebbe a dire: “per comprendere il valore della Messa dobbiamo innanzitutto capire allora il significato biblico del “memoriale”. Esso «non è soltanto il ricordo degli avvenimenti del passato, ma li rende in certo modo presenti e attuali. Proprio così Israele intende la sua liberazione dall’Egitto: ogni volta che viene celebrata la Pasqua, gli avvenimenti dell’Esodo sono resi presenti alla memoria dei credenti affinché conformino ad essi la propria vita» (Catechismo della Chiesa Cattolica, 1363). Gesù Cristo, con la sua passione, morte, risurrezione e ascensione al cielo ha portato a compimento la Pasqua. E la Messa è il memoriale della sua Pasqua, del suo “esodo”, che ha compiuto per noi, per farci uscire dalla schiavitù e introdurci nella terra promessa della vita eterna. Non è soltanto un ricordo, no, è di più: è fare presente quello che è accaduto venti secoli fa”.

Tutto questo ci apre alla carità e alla vita, come Cristo si è donato e offerto senza riserve dicendo il suo sì al Padre, così siamo chiamati anche noi a protrarre l’Eucarestia nella vita attraverso il servizio.

Il Vangelo di Giovanni, che abbiamo proclamato, non ci presenta l’istituzione della cena, come avviene nei sinottici Mt. Mc. e Lc., ma quel gesto sublime della lavanda dei piedi, che ora compiremo anche noi.

È il segno del servizio e della carità verso i nostri fratelli, soprattutto i più poveri: “si alzò da tavola, depose le vesti, prese un asciugamano e se lo cinse intorno alla vita …”.

Don Tonino Bello, Vescovo di Molfetta, di cui ricorrono quest’anno i 25 anni dalla morte, a proposito di questo gesto di Gesù ebbe a dire: “Forse a qualcuno può sembrare un’espressione irriverente, e l’accostamento della stola con il grembiule può suggerire il sospetto di un piccolo sacrilegio. Sì, perché, di solito, la stola richiama l’armadio della sacrestia, dove, con tutti gli altri paramenti profumata d’incenso, fa bella mostra di sé con la sua seta e i suoi colori, con i suoi simboli e i suoi ricami. Il grembiule, invece, ben che vada, se non proprio gli accessori di un lavatoio, richiama la credenza della cucina, dove, intriso di intingoli e chiazzato di macchie, è sempre a portata di mano della massaia. Eppure è l’unico paramento sacerdotale registrato dal Vangelo. Il quale Vangelo, per la Messa solenne celebrata da Gesù nella notte del Giovedì Santo non parla né di casule né di amitti, né di stole né di piviali, parla solo di questo panno rozzo che il maestro si cinse ai fianchi con un gesto squisitamente sacerdotale”.

Credo sia il miglior commento a questo passo del Vangelo che ci stimola a vivere oggi l’invito di Gesù: “Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i piedi a voi, anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri”.

Solo così l’Eucarestia celebrata in Chiesa diventa credibile e sostegno nella nostra vita quotidiana.

Dall’Eucarestia alla vita per diventare testimoni nel mondo di quell’amore infinito di cui Gesù è portatore con la sua passione, morte e resurrezione. Amen.