Omelia in occasione della S. Messa nel 50° della morte del Beato Giacomo Alberione

26-10-2021

Carissime sorelle paoline, carissimi sacerdoti, fratelli e cooperatori paolini, autorità civili e militari presenti e fedeli tutti,

oggi per la Famiglia paolina è un giorno di festa, ma anche per la nostra Diocesi di Alba in quanto ricordiamo, in questa celebrazione eucaristica, il 50mo anniversario della morte del vostro fondatore il beato Giacomo Alberione, sacerdote “geniale e santo” e figlio di questa Chiesa albese.

Nativo di San Lorenzo di Fossano (4 aprile 1884), don Alberione ha cominciato la sua attività apostolica qui ad Alba. E di Alba è “cittadino onorario”. Da questa terra albese sono partiti i suoi figli e le sue figlie verso le nazioni del mondo, con la sua stessa missione: annunciare il Vangelo attraverso i mezzi della comunicazione sociale.

Da quelli disponibili agli inizi del Novecento (libri e riviste in particolare), a quelli che la scienza e il progresso avrebbero, via via, messo a disposizione: radio, cinema, televisione. E oggi anche Internet e i nuovi media. Dalla “parrocchia di carta” all’“areopago” telematico.

Il tutto ebbe inizio con la direzione del settimanale diocesano, Gazzetta d’Alba, che nel 1913 monsignor Re affidò al giovane prete Giacomo Alberione. Missione vissuta con lo stesso zelo dell’apostolo Paolo, che il vostro Fondatore ha scelto come modello e padre dell’Istituto. Anzi, da lui considerato il vero fondatore della Famiglia Paolina.

Don Alberione è un grande “profeta” del nostro tempo. Qualcuno l’ha definito un “padre della Chiesa” dei giorni nostri. Nel passaggio tra i due secoli, dal 1900 al 1901, il giovane Alberione, in preghiera e adorazione nel duomo di Alba, intravide quale poteva essere la sua missione per gli uomini del nuovo secolo. “Una particolare luce venne dall’Ostia Santa”, scrisse più tardi. “Il prete predica a uno sparuto gregge, con chiese quasi vuote. Ci lasciano i templi, quando ce li lasciano, e si prendono le anime”. Occorreva raggiungere le persone che disertavano o non frequentavano le chiese. Il passaggio tra i due secoli era un vero “cambiamento d’epoca”, perfettamente speculare a quanto stiamo vivendo oggi.

A cinquant’anni dalla morte, in questa nostra società secolarizzata, sempre meno cristiana, pervasa dalle nuove forme di comunicazione, il carisma del vostro Fondatore è ancor più attuale oggi di quanto non lo fosse agli inizi. È, forse, per questa ragione che Rosario Carello, giornalista e cooperatore paolino, ha voluto dare alla sua biografia questo significativo titolo: Don Alberione: il padre del futuro.

Sì, perché come agli inizi del secolo scorso don Alberione sentì impellente il dovere di opporre “stampa a stampa”, “organizzazione a organizzazione” per “far penetrare il Vangelo nelle masse”, spinto dal pensiero sociale del Toniolo e dalla Rerum novarum di Leone XIII, così anche voi, paolini e paoline, siete chiamati oggi a “proiettarvi in avanti”, a “guardare al futuro”. Ad accettare le sfide del mondo moderno; soprattutto “abitare” il mondo digitale da testimoni del Vangelo.

Quella che stiamo vivendo”, ci ricorda papa Francesco, “non è semplicemente un’epoca di cambiamenti, ma è un cambiamento d’epoca. Non siamo nella cristianità, non più. Oggi non siamo gli unici che producono cultura, né i primi, né i più ascoltati”. È una sfida difficile, quella che dovete affrontare. Ma, al tempo stesso, una sfida avvincente e necessaria. Siete chiamati a calare il vostro carisma nella “babele dei social”. E testimoniare Cristo in una società sfilacciata e indifferente al Vangelo e alla religione. Con una “fedeltà creativa” al carisma del vostro Fondatore. E al metodo di Gesù Maestro, Via Verità e Vita, per conquistare il cuore e la mente degli uomini del nostro tempo.

Nessuna impresa, con l’aiuto di Dio, era impossibile a don Alberione. Lo stesso dovrà essere per voi, conciliando preghiera e azione: “Ora et labora”. Il vostro Fondatore era uomo concreto e dinamico. Ma anche un “mistico”. Un uomo di preghiera che si affidava totalmente a Dio e alla Provvidenza. Sebbene privo di soldi e sempre indebitato, ha saputo creare un vero e proprio impero editoriale, a servizio dell’evangelizzazione. Stimolava i suoi figli a “pensare in grande”, ma restando umili e con i piedi per terra. “Per realizzare le grandi opere di Dio”, diceva, “bisogna partire dalla paglia di Betlemme”. Come fu per Famiglia Cristiana, rivista di grande successo che, sul primo numero del 1931, aveva in copertina l’immagine di Gesù Bambino adagiato nella mangiatoia.

Don Alberione sapeva leggere i “segni dei tempi”. E dare risposte apostoliche adeguate alle necessità. Ha anticipato temi e spirito del concilio Vaticano II. Ha associato, da protagonisti e corresponsabili, laici e donne allo “zelo sacerdotale”. Della donna ha promosso un’immagine moderna per quei tempi. Destava stupore, allora, vedere suore che lavoravano in tipografia. O andare per paesini d’Italia a dorso di mulo, in bici, in moto e in macchina, portando borsoni pieni di libri, riviste e Vangeli. Quella paolina si presentava come una vocazione molto attraente per ragazze e ragazzi, affascinati dall’apostolato della comunicazione. Preti scrittori e giornalisti, suore editrici e propagandiste. Per una “parrocchia di carta”, dove i “nuovi pulpiti” erano le tipografie o i banconi delle librerie. Il mondo come una parrocchia, e l’umanità per parrocchiani.

Il decreto conciliare Inter mirifica sui mezzi di comunicazione sociale fu per don Alberione la consacrazione ufficiale del suo carisma. Lui, che aveva partecipato al Concilio, ne fu davvero soddisfatto, e scrisse: “L’attività paolina è dichiarata apostolato, accanto alla predicazione orale; è dichiarata di alta stima dinanzi alla Chiesa e al mondo. Usare i mezzi di comunicazione è un atto di autentica predicazione”.

L’opera che più gli stava a cuore era la Bibbia, che ha diffuso in milioni di copie, rendendola familiare e alla portata di tutti. Anticipando i tempi e andando contro la mentalità corrente. “Vi era una speciale persuasione”, scriveva, “che non si potesse dare al popolo il Vangelo, tanto meno la Bibbia”. La lettura delle Sacre Scritture, allora, se non proprio proibita, era riservata esclusivamente al clero e agli studiosi.

Per don Alberione la Bibbia era il “libro dell’umanità”, “il libro divino”, “la lettera che Dio aveva scritto agli uomini”. Innumerevoli le sue iniziative, dalle Giornate del Vangelo ai Corsi biblici, per diffonderla dappertutto: nelle famiglie, nelle parrocchie, nelle scuole. Con edizioni speciali per adulti, giovani, bambini, mamme, lavoratori, fidanzati, sposi… e anche per i soldati. Una diffusione davvero capillare.  Memorabile nel 1923 il Vangelo a una lira, e nel 1953 la famosa Bibbia a mille lire.

Il fascino straordinario della vita e delle attività di don Alberione è racchiuso tra due estremi: da una parte, la nascita in assoluta povertà, in una cascina di san Lorenzo di Fossano, da genitori contadini; dall’altra, la sua morte a Roma, circondato dall’affetto dei suoi figli e la stima di Paolo VI, che era andato a trovarlo pochi minuti prima che morisse.  Quando ancora era raro che i Papi uscissero dal Vaticano.

Paolo VI, figlio di un padre direttore di giornale, apprezzava e condivideva l’apostolato paolino. A lui si deve il ritratto più bello del Fondatore: “Eccolo: umile, silenzioso, instancabile, sempre vigile, sempre raccolto nei suoi pensieri, che corrono dalla preghiera all’opera, sempre intento a scrutare i segni dei tempi, cioè le più geniali forme di arrivare alle anime, il nostro don Alberione ha dato alla Chiesa nuovi strumenti per esprimersi, nuovi mezzi per dare vigore e ampiezza al suo apostolato, nuova capacità e nuova coscienza della validità e della possibilità della sua missione nel mondo moderno e con mezzi moderni”.

Lasci, caro don Alberione”, concludeva, “che il Papa goda di codesta lunga, fedele e indefessa fatica e dei frutti da essa prodotti a gloria di Dio e a bene della Chiesa; lasci che i suoi figli godano con noi e che oggi le esprimano, come forse non mai, la loro affezione e la loro promessa di perseverare nell’opera intrapresa”.

Lo stesso Paolo VI, in altra occasione, definì don Alberione, “un uomo che annovero tra le meraviglie del nostro secolo”.

A conclusione, faccio mie le parole che Giovanni Paolo II, il 27 aprile 2003, disse alla sua beatificazione: “Quale formidabile eredità egli lascia alla sua Famiglia religiosa! Possano i suoi figli e le sue figlie spirituali mantenere inalterato lo spirito delle origini, per corrispondere in modo adeguato alle esigenze dell’evangelizzazione nel mondo d’oggi”.

È l’augurio che rivolgo a tutta la Famiglia Paolina: che possiate anche voi, sull’esempio del Fondatore, coniugare preghiera e audacia apostolica; fare “la carità della verità”, “parlando di tutto cristianamente”. Il Vangelo di Cristo “incarnato” possa, ancora oggi, essere “incartato” nelle vostre riviste e giornali. E, soprattutto, annunciato e testimoniato nei social e nel digitale. Per dare al mondo, con il linguaggio degli uomini d’oggi, il Cristo totale: Gesù Maestro Via Verità e Vita.