Omelia in occasione della Messa esequiale di Mons. Dellapiana Giuseppe

22-03-2019

Padre, voglio che anche quelli che mi hai dato, siano con me dove sono io, perché contemplino la mia gloria, quella che mi hai dato; poiché tu mi hai amato prima della creazione del mondo”. (Gv. 17, 24-26)

In questo momento in cui ci ritroviamo come comunità cristiana per dare l’estremo saluto al carissimo don Giuseppe, che in questi ultimi anni ha celebrato l’Eucarestia proprio in questa chiesa di Nostra Signora della Salute, facciamo nostra la preghiera di Gesù che abbiamo proclamato nel Vangelo.

Sono certo che don Giuseppe, consacratosi al Signore e rivestito dell’ordine sacro, sia appartenuto e tuttora appartenga al Signore ed ora sia presso il suo Signore Gesù a contemplare in eterno la Santissima Trinità.

Qualche anno fa (2015) don Giuseppe aveva scritto un libretto in cui ripercorre le tappe della sua vita dedicata alla preghiera, alla contemplazione ma, soprattutto, alla realizzazione concreta di opere nelle quali fosse testimoniata la fede, sua e di quanti attorno a lui si sono raccolti nel corso degli anni. Ha raccontato la sua lunga vita, non solo di anni ma soprattutto di grandi esperienze spirituali, pastorali ed umane.

Nel titolo noi troviamo la sua vicenda umana: Un cammino… Monaco trappista, missionario e sacerdote.

Queste tre definizioni bene rappresentano i tre momenti salienti della sua vita interamente consacrata al Signore.

La sua infanzia in una famiglia tipicamente contadina dalla quale ricevette una educazione improntata alla soddisfazione dei bisogni dello spirito ma anche alla più concreta esistenza: fatta di lavoro nei campi, al quale egli -come molti giovani della sua generazione nella stessa condizione economica- fu condotto fin dalla tenera età.

La sua giovinezza e la sua formazione fu caratterizzata dalla vita monastica: il silenzio, la preghiera e il lavoro riempivano le sue giornate e formarono il suo carattere.

Nella maturità il Signore lo chiamò ad essere missionario questa volta oltreoceano: Quito, capitale dell’Ecuador e anche lì troviamo la sua opera di divulgazione religiosa fatta di predicazione, di incontri con i missionari e con i giovani seminaristi, ma soprattutto di opere concrete: in Ecuador, con l’aiuto dei suoi molti amici egli ha lasciato la sua traccia con varie opere e con la costruzione nel villaggio di Rocafuerte di una Chiesa dedicata alla Madonna delle Grazie del Soratte, in Ecuador per annunciare il Vangelo in modo infaticabile a quelle genti che incontrava nelle missioni.

Gli ultimi decenni della sua vita li spese, come sacerdote, nella sua cara Diocesi di Alba dove era nato e cresciuto con la sua famiglia, prima come responsabile delle Parrocchie di Castelletto Uzzone e Gottasecca e poi come collaboratore qui a Vaccheria.

Lo stile monastico, la preghiera e il silenzio lo contraddistinsero fino agli ultimi giorni. “Un cammino” la sua vita, ancor prima che religiosa, del percorso di un essere umano che nella Chiesa, con essa e per essa si immerge in esperienze di vita nelle quali il punto fermo è la capacità di trasformare la fede in operosità, di aggregare attorno ad obiettivi condivisi persone diverse, assumendo come punto di partenza la predicazione evangelica.

Sono convinto che le parole di San Paolo proclamate nella prima lettura: “Sia che viviamo, sia che moriamo, siamo dunque del Signore” hanno trovato in don Giuseppe un autentico testimone.

Quando ogni tanto lo incontravo, qui a Vaccheria, e in ultimo in Seminario e alla residenza di Rodello, mi colpiva la sua semplicità e umiltà ammantata di spiritualità e di preghiera, tipico della vocazione monastica.

Ringraziamo insieme il Signore per il dono che ha fatto alla Chiesa che è in Alba un sacerdote come Mons. Giuseppe, che ha saputo mettere in risalto il grande valore del silenzio e della preghiera che non dovrebbero mai mancare nella vita di ogni cristiano e in particolare di noi sacerdoti.

Lui non amava apparire ma era sempre disponibile all’ascolto e al servizio tutte le volte che gli veniva richiesto.

Il giorno di San Giuseppe l’ho incontrato, ormai moribondo, e l’ho affidato allo Sposo di Maria e Custode della Chiesa oltre che protettore dei moribondi, perché lo accompagnasse con Maria nel trapasso che stava per compiere, l’ultimo tratto del cammino della sua vita.

Nella gloria del cielo ora potrà vivere nella contemplazione in eterno, così come ha sempre desiderato e intercedere per tutti, affinché non venga mai meno nella Chiesa il carisma della preghiera e della contemplazione.

A Maria, Madre dei Sacerdoti, a San Giuseppe e a tutti i Santi affidiamo l’anima del nostro caro confratello affinché sia accolto nel Suo regno di pace e di amore per sempre. Amen.