Tutela dei minori: i vescovi rispondono alle domande più comuni

L’assemblea dei vescovi italiani, in vista della seconda Giornata di sensibilizzazione contro gli abusi e per la tutela dei minori, che si celebra venerdì 18 novembre, ha pubblicato un testo che risponde alle principali domande che tutti si pongono, su quanto la Chiesa ha fatto e sta facendo per combattere e prevenire la piaga degli abusi sui minori e i più fragili. Qui di seguito, diamo il testo completo:

Faq Parte 1 – Il Report: come e perché

L’Assemblea Generale ha approvato una determinazione con cinque linee di azione per una più efficace prevenzione del fenomeno degli abusi sui minori e sulle persone vulnerabili:

1. potenziare la rete dei referenti diocesani e dei relativi Servizi per la tutela dei minori e delle persone vulnerabili. Con questa azione, si intende infatti promuovere, ancora più capillarmente, attraverso percorsi diffusi di formazione, una cultura del rispetto e della dignità dei minori e delle persone vulnerabili;

2. implementare la costituzione dei Centri di ascolto, per l’ascolto e l’accoglienza delle vittime di abusi in ambito ecclesiale e per raccogliere segnalazioni di comportamenti inappropriati. Attualmente i Centri di ascolto sono quasi un centinaio;

3. realizzare un primo Report nazionale sulle attività di prevenzione e formazione e sui casi di abuso segnalati o denunciati alla rete dei Servizi diocesani e interdiocesani negli ultimi due anni (2020-2021);

4. conoscere e analizzare, in modo quantitativo e qualitativo, i dati forniti dal Dicastero della Dottrina della Fede relativi alle denunce raccolte/fascicoli aperti dall’autorità ecclesiastica, dal 2001 al 2020, in merito a delitti su minori, presunti o accertati, commessi da chierici in Italia a partire dagli anni Cinquanta;

5. partecipare in qualità di invitato permanente all’Osservatorio per il contrasto della pedofilia e della pornografia minorile, istituito con legge 269/1998. In questa scheda abbiamo raccolto le domande più frequenti con le relative risposte (Faq) riguardanti le scelte fatte, i passi compiuti e il percorso futuro.

Perché un report sui Servizi e sui Centri di ascolto? E perché è riferito solo al biennio 2020-2021?

Lo scopo di un report sui Servizi per la tutela dei minori e delle persone vulnerabili e sui Centri di ascolto, affidato a docenti esperti dell’Università Cattolica del Sacro Cuore – sede di Piacenza, è quello di fornirne una mappatura, di verificare come sono costituiti, le attività che svolgono, i punti di forza e quelli che andranno maggiormente consolidati nelle attività formative, la qualità dell’ascolto e dell’accoglienza delle vittime, il contesto degli abusi o comunque dei fatti segnalati. Lo studio dei dati emersi permetterà di incrementare l’efficacia del servizio formativo e di accoglienza delle vittime. Questo primo report non può che riferirsi al biennio 2020-2021, visto che i Servizi e i Centri sono stati costituti a seguito delle Linee guida per la tutela dei minori, approvate dai Vescovi italiani nel maggio del 2019. I report verranno poi ripetuti con cadenza periodica. Tale report è attuazione immediata e concreta da parte della Chiesa che è in Italia della richiesta fatta dallo stesso Papa Francesco il 29 aprile scorso alla Pontificia Commissione per la tutela dei minori. «Annualmente, vorrei che mi preparaste un rapporto sulle iniziative della Chiesa per la protezione dei minori e degli adulti vulnerabili. Questo potrà essere difficile all’inizio, ma vi chiedo di incominciare da dove sarà necessario in modo da poter fornire un rapporto affidabile su ciò che sta accadendo e su ciò che deve cambiare, in modo che le autorità competenti possano agire» (papa Francesco, Discorso ai membri della Pontificia Commissione per la tutela dei minori, 29 aprile 2022 ).

Il centro di ricerca dell’Università Cattolica del Sacro Cuore – sede di Piacenza, può garantire la scientificità dei report sui Servizi?

Un medico cristiano può fare una prognosi corretta su un paziente di altra religione oppure la sua appartenenza religiosa rende meno affidabile la sua prognosi? La correttezza e l’affidabilità di un report devono essere valutate sulla base della loro corrispondenza agli standard condivisi dalla​ comunità scientifica non certo sul credo religioso o sull’appartenenza nazionale dei ricercatori o dell’ente di ricerca coinvolto.

Perché un centro di ricerca dell’Università Cattolica del Sacro Cuore e non quello di un’altra università?

Il centro di ricerca dell’Università Cattolica del Sacro Cuore – sede di Piacenza ha partecipato al progetto Safe ( Supporting action to Foster embedding of childe safeguarding policies in Italia faith led organizations and sports for children) che ha coinvolto l’Associazione comunità Papa Giovanni XXIII, il Centro sportivo Italiano e la Presidenza nazionale dell’Azione Cattolica Italiana. Compito del centro di ricerca era quello di valutare l’efficacia dei percorsi di formazione alla tutela e protezione dei minori e delle politiche di tutela adottate in queste organizzazioni a carattere religioso. Il progetto è stato cofinanziato dall’Unione Europea nell’ambito del programma Diritti, Uguaglianza e Cittadinanza ( Rights, Equality and Citizenship Programme) dell’Unione stessa (2014-2020), perché rispondente agli standard scientifici previsti da tale programma. L’Università Cattolica del Sacro Cuore – sede di Piacenza è stata scelta non solo per le riconosciute competenze nel campo della ricerca statistica e sociologica, ma per la specifica e non comune esperienza in campo di tutela e protezione di minori nelle associazioni a carattere religioso. D’altro canto, se deve essere costruita una diga più che a un architetto d’interni sarebbe utile rivolgersi ad un ingegnere strutturista esperto in materia.

Parte 2 – I dati del Dicastero della Dottrina della fede

Per migliorare le misure di prevenzione e contrasto, accompagnare con più consapevolezza le vittime e i sopravvissuti e affinare i criteri per altre ricerche, i Vescovi italiani hanno deciso di condurre un’analisi, quantitativa e qualitativa, sui dati forniti dal Dicastero della Dottrina della Fede relativi alle denunce raccolte/fascicoli aperti dall’autorità ecclesiastica, dal 2001 al 2020, in merito a delitti su minori, presunti o accertati, commessi da chierici in Italia a partire dagli anni Cinquanta. Si tratta di una delle cinque linee di azione approvate dalla 76ª Assemblea Generale.

Si parla di uno studio sui dati del Dicastero della Dottrina della fede riferiti ad abusi sessuali commessi da chierici nei confronti dei minori: di cosa si tratta?

Se già precedentemente vi erano alcune indicazioni in materia è con il 2001 che papa Giovanni Paolo II approvava specifiche disposizioni che configuravano non solo con maggiore chiarezza i delitti sessuali contro i minori commessi da chierici, ma anche le procedure da seguire. Al Dicastero per la Dottrina della Fede, considerata la gravità della materia, veniva confermato un ruolo particolare nella disanima di queste cause evitando così, grazie al riferimento alla Santa Sede, che questi delitti potessero essere sottovalutati a livello locale. Di conseguenza a tali disposizioni, ogni qualvolta a un vescovo o a un superiore religioso giunge notizia di un delitto sessuale commesso da un chierico nei confronti di un minore, in qualsiasi modo si abbia tale comunicazione (mediante una denuncia formale, attraverso i mass media, in forza di una notifica da parte dell’autorità statale…) non soltanto questi è obbligato ad indagare sulle accuse, ma deve anche informare il Dicastero per la Dottrina della Fede attenendosi alle sue disposizioni in merito. Presso il Dicastero, in questi vent’anni, anche grazie a una maggiore e più diffusa consapevolezza della gravità di questi delitti, sono stati aperti molti fascicoli relativi a chierici di tutto il mondo accusati di crimini sessuali
contro minori. Il Dicastero – ed è la prima volta che ciò avviene con una Conferenza Episcopale nazionale – ha deciso di fornire alla CEI, evidentemente nel rispetto della normativa sulla riservatezza e la privacy, dati relativi ai fascicoli aperti dall’autorità ecclesiastica, in questi ultimi vent’anni, per crimini su minori commessi in Italia da chierici.

I fascicoli riguardano i delitti commessi negli ultimi vent’anni?​

Evidentemente no! I fascicoli riguardano le posizioni aperte presso l’Autorità ecclesiastica negli ultimi vent’anni e che quindi si riferiscono, per la maggior parte, a crimini avvenuti diversi decenni or sono, anche negli anni Cinquanta, e che solo in questi ultimi decenni le vittime hanno deciso di denunciare grazie a coraggiosi percorsi di consapevolezza spesso lunghi e dolorosi, e a un clima culturale ed ecclesiale decisamente diverso. Oggi le norme canoniche permettono la denuncia di abusi sessuali commessi da chierici su minori, anche se avvenuti molti decenni or sono, consentendo addirittura, in casi particolari, che possano essere perseguiti penalmente, secondo le norme della Chiesa, nonostante siano già prescritti da tempo.

Perché si tratta di dati importanti?

Perché in quell’archivio sono custoditi, in un solo luogo, dati che altrimenti sarebbe impossibile ricostruire in quanto non conservati altrove, magari andati persi o incompleti, dispersi in molteplici archivi. Altra caratteristica di questi dati di grande importanza è la loro solidità, completezza e affidabilità avendo il pregio di aver superato il vaglio di precise procedure penali e dunque di essere stati sottoposti a un’attenta valutazione. Non si tratta dunque di semplici articoli di giornale, denunce anonime, questionari pensati per la statistica o di dati proiettivi. Evidente, dunque, l’importanza di poter studiare attentamente questi dati assolutamente attendibili per comprendere quali siano i tratti caratteristici delle dinamiche abusive in ambito ecclesiale, come si siano sviluppate e quali siano le strategie per poterle meglio prevenire. Analizzare scientificamente la letteratura processuale consente non solo di accedere a dati certi, ma attraverso ciò che è emerso e affrontato giuridicamente di poter contribuire in futuro all’individuazione di ciò che è ancora sommerso con maggiore precisione. Il tassello mancante di un puzzle lo si individua partendo dai tasselli già composti e dalla loro forma, così in un’indagine scientifica si parte sempre dalla randomizzazione dei dati emersi.

Chi potrà studiare questi dati?

I dati forniti dal Dicastero della Dottrina della Fede verranno messi a disposizione di un gruppo interdisciplinare di studio composto da esperti di riconosciuta affidabilità e competenza nelle scienze psicologiche, sociologiche, giuridiche, nonché dell’ambito ecclesiale e delle sue dinamiche, appartenenti a enti accademici e istituti di ricerca.

Parte 3 – I Centri di ascolto

Una delle cinque linee di azione approvate dalla 76esima Assemblea Generale riguarda l’impegno ad implementare la costituzione dei Centri di ascolto, che attualmente sono presenti nel 70 per cento delle
diocesi italiane.

A chi possono rivolgersi le vittime di abusi in ambito ecclesiale? E chiunque voglia segnalare eventuali abusi?

Fermo restando il dovere e l’impegno all’accoglienza e all’ascolto delle vittime da parte dei vescovi e dei Superiori religiosi, è sembrato utile avvalersi di uno strumento specifico: i Centri di ascolto dei Servizi diocesani o interdiocesani tutela minori e persone vulnerabili. Si tratta di un servizio ecclesiale con lo scopo di accogliere, ascoltare, accompagnare coloro che ritengono di essere stati vittima di abusi in ambito ecclesiale, avvenuti anche nel passato, e che vogliono consegnare il racconto della loro sofferenza, segnalare l’abuso subito e chi ne è stato responsabile. I Centri di ascolto offrono un servizio di natura ecclesiale e pastorale, cioè di accoglienza, all’interno della premura della Chiesa per le vittime. Dunque, non un accompagnamento psicoterapeutico e legale per il quale le vittime possono liberamente scegliere le persone e le professionalità di loro fiducia, e soprattutto mai alternativo all’autorità dello Stato al quale le vittime possono sempre rivolgersi.

Perché non c’è un Centro di ascolto per ogni diocesi?

In Italia sono stati costituiti circa un centinaio di Centri di ascolto, presenti nel 70 per cento delle diocesi. Le ragioni, per cui ogni diocesi non ne disponga di uno proprio, sono legate al fatto che le Chiese italiane sono numerose e alcune molto piccole per cui non è facile trovare le persone disponibili a svolgere il delicato servizio pastorale di accoglienza e ascolto. D’altra parte nelle piccole diocesi, dove è più facile che tutti conoscano tutti, le vittime di abusi o chi desidera segnalarne possono sentirsi scoraggiate a rivolgersi al Centro di ascolto locale preferendo piuttosto quello di una diocesi vicina.

Per cosa si caratterizzano i Centri di ascolto?

I Centri di ascolto non sono una commissione temporanea di inchiesta canonica, ma un sistema stabile, autonomo, permanente, facilmente accessibile, di accoglienza e ascolto per chi ritiene di essere stato vittima di abusi in ambio ecclesiale o per chi vuole segnalare comportamenti inappropriati. Sono presidi sul territorio nei quali, diversamente da molti altri Paesi, operano persone volontarie e non dipendenti della diocesi o dell’ente religioso. Chi si rivolge al Centro di ascolto è consapevole della natura pastorale ed ecclesiale del suo servizio, vuole cioè affidare espressamente alla Chiesa e all’autorità ecclesiastica la propria vicenda personale, segnalare quanto vissuto, chiedere che sia fatta verità e che i responsabili siano perseguiti secondo le norme della Chiesa, riservandosi sempre e comunque la piena libertà di denunciare il crimine subito all’autorità giudiziaria dello Stato. D’altra parte, in alcun modo a chi intende segnalare comportamenti di abuso viene impedito o anche solo sconsigliato di rivolgersi a studi legali, ai media o quant’altro.

I Centri di ascolto garantiscono un ascolto autonomo?

La presenza diffusa di una rete stabile e permanente di Centri di ascolto sul territorio, l’accessibilità libera e gratuita, la disponibilità di persone volontarie con una loro professionalità o un’esperienza consolidata nell’ascolto, la loro formazione permanente, la possibilità di essere accolti e ascoltati in modo riservato e trasparente, la certezza che quanto segnalato verrà quanto prima trasmesso all’autorità ecclesiastica competente, sono a garanzia di un ascolto ecclesiale, pastorale e autonomo da parte dei collaboratori dei centri stessi.

Non c’è il rischio che rivolgendosi ai Centri di ascolto le vittime non possano poi indirizzarsi alla Magistratura?

Assolutamente no! Per questa ragione chiunque si rivolge ai Centri di ascolto viene chiaramente informato della natura pastorale ed ecclesiale di questo servizio, che in alcun modo si contrappone o sostituisce l’Autorità dello Stato, e della possibilità di rivolgersi sempre e comunque alla Magistratura dello Stato. Chi si reca ai Centri di ascolto è consapevole e vuole consegnare alla Chiesa la propria vicenda perché sia trattata dalla Chiesa e secondo il suo ordinamento, mantenendo la più assoluta libertà di rivolgersi nelle modalità ritenute più opportune all’Autorità giudiziaria dello Stato.

Il vescovo potrebbe trasmettere la denuncia ricevuta alla magistratura?

Non esiste in questo momento un obbligo in tal senso secondo la legge italiana e il dovere del Vescovo è garantire il massimo rispetto della volontà delle vittime e dei loro genitori o tutori se minorenni potendo questi, in qualsiasi momento, rivolgersi alla Magistratura. Tuttavia, chiunque si rivolge ai Centri di ascolto o direttamente al Vescovo o al Superiore religioso deve sapere che, qualora vi fosse un pericolo attuale per uno o più minori, valutata la verosimiglianza della segnalazione con i dovuti approfondimenti, pur senza alcun obbligo giuridico, ma morale, il vescovo può trasmettere quanto ricevuto, nelle forme di legge, all’Autorità giudiziaria.

Lo stesso avviene in tutti i Paesi?​

In alcuni Paesi, la legge dispone che chiunque venga a conoscenza di un abuso sia tenuto a informare l’Autorità statale che provvederà a sentire le parti e chiedere se intendano o meno presentare denuncia. In questi casi, gli operatori dei Centri di ascolto predispongono due report, uno per l’Autorità ecclesiastica e uno per l’Autorità competente dello Stato. In Italia non sussiste tale obbligo di legge e questi gravissimi crimini sono perseguiti d’ufficio dalla Magistratura e non solo su istanza delle parti. A salvaguardia di coloro che si rivolgono ai Centri di ascolto e della loro libertà di scelta, nel rispetto delle leggi vigenti e a garanzia di un operato corretto e trasparente, i Centri di ascolto si caratterizzano per la natura ecclesiale e pastorale del loro servizio. I Centri di ascolto non hanno infatti i poteri e le competenze degli organi dello Stato e neppure devono e vogliono in alcun modo sovrapporsi alla Magistratura. Chi si rivolge ai Centri di ascolto, mantiene comunque la libertà di rivolgersi all’Autorità giudiziaria nella consapevolezza che nulla verrà detto o fatto per distoglierlo o privarlo di questo suo diritto.

Parte 4 – L’azione della Chiesa in Italia

I vescovi italiani sono decisi a compiere qualsiasi passo perché il fenomeno degli abusi venga contrastato, promuovendo ambienti sicuri e a misura dei più piccoli e vulnerabili. Sono diverse le linee di azione su cui si sta muovendo la Cei che, tra l’altro, partecipa in qualità di invitato permanente all’Osservatorio per il contrasto della pedofilia e della pornografia minorile, istituito con legge 269/1998. Si tratta di una concreta possibilità di collaborazione con le istituzioni pubbliche per lo studio e il monitoraggio della prevenzione e il contrasto dell’abuso e dello sfruttamento sessuale a danno delle persone di minore età in tutta la società italiana.

Quale apporto può dare la Chiesa per affrontare la piaga degli abusi?

Gli abusi sui minori e la pedopornografia sono una tragedia che coinvolge un numero enorme di bambini indifesi in tutto il mondo. Si tratta di un fenomeno trasversale che investe tutte le categorie sociali. Oltre a perseguire senza incertezze e con la massima severità questi reati, è necessario consolidare una cultura della tutela dei minori che passi dal proteggere i minori come reazione al crimine e presa di coscienza del danno arrecato (child protection) ad un’azione pro-attiva volta a costruire ambienti che ne promuovano e salvaguardino la dignità e il bene relazionale (child safeguarding). La Chiesa, che da secoli e con generosità di persone e istituzioni si occupa dei più piccoli, vuole spendersi su questo fronte con il massimo impegno attraverso un gigantesco sforzo formativo che coinvolga tutti gli operatori pastorali e le comunità ecclesiali. La formazione è infatti la prima e più efficace forma di prevenzione perché mira a consolidare una cultura della tutela dei minori che, a partire dalle comunità ecclesiali, attraverso le famiglie, può giovare all’intera società.

Quali nuovi strumenti la Chiesa ha individuato per dare “gambe” a questo sforzo formativo?

Con le Linee guida per la tutela dei minori del 2019, la Chiesa che è in Italia, come strumento per dare concretezza ed efficacia a questo enorme sforzo formativo, ha scelto di costituire dei Servizi tutela minori e persone vulnerabili. Così, in meno di due anni e nonostante le limitazioni causate dalla pandemia, a livello nazionale è stato costituito il Servizio nazionale tutela minori e persone vulnerabili, in ognuna delle 16 regioni ecclesiastiche è stato costituito un Servizio regionale e in ognuna delle 226 diocesi è stato nominato almeno un referente per la tutela dei minori e delle persone vulnerabili se non addirittura istituito un vero e proprio servizio diocesano o interdiocesano. Tutti questi servizi, a livello nazionale, regionale e locale, sono affiancati da équipe di esperti, uomini e donne, che mettono a disposizione le loro competenze e professionalità in campo psicologico, formativo, giuridico e comunicativo per costruire percorsi specifici per ciascuna realtà locale e ognuna delle molte categorie di persone (operatori pastorali, famiglie, animatori, catechisti…) che frequentano le comunità ecclesiali, in particolare le parrocchie, ma anche le associazioni, i movimenti, le case di formazione religiosa o i seminari. Spesso i percorsi sono condivisi o costruiti​ insieme ad altre realtà ecclesiali, come gli Istituti religiosi, o civili, le scuole e i servizi sociali. Tra i temi oggetto di formazione ci sono in primo luogo la dignità del minore, la realtà degli abusi, il riconoscimento dei fattori di rischio, le buone prassi di prevenzione, la promozione di fattori di protezione.

Quale tipo di approccio alla ricerca e allo studio sugli abusi nella Chiesa è stato scelto dai vescovi di altri Paesi?

Ogni Conferenza Episcopale, valutando le proprie possibilità e la situazione locale, ha scelto approcci diversi per lo studio del fenomeno degli abusi in ambito ecclesiale. Solo in alcuni Paesi i vescovi hanno ritenuto opportuno e significativo commissionare una specifica ricerca sul tema. Le modalità sono state le più diverse: qualcuno ha affidato lo studio ad una commissione interna, i più si sono riferiti a team di esperti indipendenti scelti dalla Conferenza episcopale locale, in altri casi a uno o più team universitari, in qualche caso ad uno o più studi legali. Assolutamente diversificati i termini e le metodologie utilizzate nelle ricerche. In alcuni casi l’arco temporale considerato è stato di qualche anno, in altri di diversi decenni. Alcune ricerche hanno preso in considerazione solo i chierici, altre anche i laici impegnati quali operatori pastorali, piuttosto che come insegnanti o dipendenti delle scuole cattoliche. Anche circa la nozione di delitto sul quale indagare gli approcci sono stati molto diversi: in taluni casi si è preso a riferimento la definizione di delitto sessuale su minore vigente nella legislazione civile al momento della ricerca applicandola a ritroso. In altri la definizione canonica che parla di atti contro il VI comandamento. In alcune ricerche sono considerati non solo i delitti sessuali, ma anche tutte le forme di maltrattamento fisico e/o affettivo, abuso psicologico, incuria o trattamento negligente del minore, nonché sfruttamento sessuale o di altro genere, che provocano un danno reale o potenziale alla salute, alla sopravvivenza, allo sviluppo o alla dignità del bambino, nell’ambito di una relazione di responsabilità, fiducia o potere. In qualche caso non ci si è limitati ai minori, ma sono state comprese nella ricerca anche le vittime adulte al tempo dei fatti contestati. Pure le metodologie di raccolta dei dati sono state molteplici utilizzando spesso contemporaneamente la possibilità di segnalazioni dirette, talvolta questionari anonimi, sentenze giudiziarie, notizie ricavate dai mass media… Diversi i criteri di studio e le analisi dei dati raccolti e conseguentemente anche le valutazioni e le raccomandazioni proposte che non di rado hanno ritenuto di poter addirittura riferirsi al “correggere” il contenuto della fede della
Chiesa cattolica. È evidente dunque che, fermo restando il rispetto delle scelte fatte da ciascuna Conferenza Episcopale nazionale, la competenza e professionalità dei team di ricerca coinvolti, la scientificità, la ricchezza e l’affidabilità dei dati raccolti, anche laddove le ricerche sono state commissionate, molto diversi sono stati gli approcci assunti. Ogni ricerca con i suoi obiettivi, termini, metodologie adottate porta sempre con sé elementi di affidabilità e certezza quanto altrettanti elementi di rischio e criticità.

È vero che la Chiesa che è in Italia non vuole uno studio indipendente sulla realtà degli abusi in ambito ecclesiale?

Assolutamente no! La Chiesa che è in Italia non intende sottrarsi al doveroso impegno nello studio e nella ricerca, preferendo a un unico e generico studio affidato a un solo team con inevitabili criticità, una pluralità di studi approfonditi che tengano conto della specificità della realtà ecclesiale, affidati a più gruppi di ricercatori di diverse università e centri studi, secondo criteri metodologici condivisi dalla comunità scientifica. Il primo report sui Servizi e sui Centri di ascolto e poi i report che periodicamente seguiranno, così come la ricerca sui dati del Dicastero della Dottrina della Fede, sono solo i primi passi di un percorso intrapreso con chiarezza e decisione.

Quale la disponibilità nei confronti di eventuali ricerche da parte di istituzioni dello Stato sulla realtà degli abusi su minori in Italia?

Fermo restando l’impegno concreto nella ricerca e nello studio degli abusi in ambito ecclesiale, la Chiesa che è in Italia è disponibile, secondo le proprie competenze, a collaborare con le istituzioni​ dello Stato non solo in ricerche sulla realtà degli abusi sessuali su minori nel territorio italiano, ma anche, attraverso la partecipazione ad organismi quali l’Osservatorio per il contrasto della pedofilia e della pornografia, ad offrire il proprio apporto al consolidamento e alla diffusione di una cultura civile della tutela e protezione dei minori.