Il messaggio del papa per le comunicazioni sociali: impariamo ad ascoltare

Diffuso il 24 gennaio, nella memoria liturgica di san Francesco di Sales patrono dei giornalisti, è dedicato all’ascolto il messaggio del Papa per la Giornata mondiale delle comunicazioni sociali, in programma il 29 maggio. «C’è una sordità interiore, peggiore di quella fisica», l’analisi. No al «duologo», all’«infodemia» e alla «tentazione di origliare e spiare», sì invece alla capacità di ascolto profondo del «disagio sociale». «Anche nella Chiesa c’è tanto bisogno di ascoltare e di ascoltarci». «È triste quando, anche nella Chiesa, si formano schieramenti ideologici». Di seguito il testo integrale del messaggio.

Messaggio del santo padre Francesco per la 56esima Giornata mondiale delle comunicazioni sociali

Ascoltare con l’orecchio del cuore

Cari fratelli e sorelle!
Lo scorso anno abbiamo riflettuto sulla necessità di “andare e vedere” per scoprire la realtà e poterla
raccontare a partire dall’esperienza degli eventi e dall’incontro con le persone. Proseguendo in
questa linea, desidero ora porre l’attenzione su un altro verbo, “ascoltare”, decisivo nella
grammatica della comunicazione e condizione di un autentico dialogo.

In effetti, stiamo perdendo la capacità di ascoltare chi abbiamo di fronte, sia nella trama normale dei
rapporti quotidiani, sia nei dibattiti sui più importanti argomenti del vivere civile. Allo stesso
tempo, l’ascolto sta conoscendo un nuovo importante sviluppo in campo comunicativo e
informativo, attraverso le diverse offerte di podcast e chat audio , a conferma che l’ascoltare rimane
essenziale per la comunicazione umana.

A un illustre medico, abituato a curare le ferite dell’anima, è stato chiesto quale sia il bisogno più
grande degli esseri umani. Ha risposto: “Il desiderio sconfinato di essere ascoltati”. Un desiderio
che spesso rimane nascosto, ma che interpella chiunque sia chiamato ad essere educatore o
formatore, o svolga comunque un ruolo di comunicatore: i genitori e gli insegnanti, i pastori e gli
operatori pastorali, i lavoratori dell’informazione e quanti prestano un servizio sociale o politico.

Ascoltare con l’orecchio del cuore

Dalle pagine bibliche impariamo che l’ascolto non ha solo il significato di una percezione acustica,
ma è essenzialmente legato al rapporto dialogico tra Dio e l’umanità. «Shema’ Israel – Ascolta,
Israele» (Dt 6,4), l’incipit del primo comandamento della Torah, è continuamente riproposto nella
Bibbia, al punto che San Paolo affermerà che «la fede viene dall’ascolto» (Rm 10,17). L’iniziativa,
infatti, è di Dio che ci parla, al quale noi rispondiamo ascoltandolo; e anche questo ascoltare, in
fondo, viene dalla sua grazia, come accade al neonato che risponde allo sguardo e alla voce della
mamma e del papà. Tra i cinque sensi, quello privilegiato da Dio sembra essere proprio l’udito,
forse perché è meno invasivo, più discreto della vista, e dunque lascia l’essere umano più libero.​
L’ascolto corrisponde allo stile umile di Dio. È quell’azione che permette a Dio di rivelarsi come
Colui che, parlando, crea l’uomo a sua immagine, e ascoltando lo riconosce come proprio
interlocutore. Dio ama l’uomo: per questo gli rivolge la Parola, per questo “tende l’orecchio” per
ascoltarlo.

L’uomo, al contrario, tende a fuggire la relazione, a voltare le spalle e “chiudere le orecchie” per
non dover ascoltare. Il rifiuto di ascoltare finisce spesso per diventare aggressività verso l’altro,
come avvenne agli ascoltatori del diacono Stefano i quali, turandosi gli orecchi, si scagliarono tutti
insieme contro di lui (cfr At 7,57).

Da una parte, quindi, c’è Dio che sempre si rivela comunicandosi gratuitamente, dall’altra l’uomo al
quale è richiesto di sintonizzarsi, di mettersi in ascolto. Il Signore chiama esplicitamente l’uomo a
un’alleanza d’amore, affinché egli possa diventare pienamente ciò che è: immagine e somiglianza di
Dio nella sua capacità di ascoltare, di accogliere, di dare spazio all’altro. L’ascolto, in fondo, è una
dimensione dell’amore.

Per questo Gesù chiama i suoi discepoli a verificare la qualità del loro ascolto. «Fate attenzione
dunque a come ascoltate» (Lc 8,18): così li esorta dopo aver raccontato la parabola del seminatore,
lasciando intendere che non basta ascoltare, bisogna farlo bene. Solo chi accoglie la Parola con il
cuore “bello e buono” e la custodisce fedelmente porta frutti di vita e di salvezza (cfr Lc 8,15). Solo
facendo attenzione a chi ascoltiamo, a cosa ascoltiamo, a come ascoltiamo, possiamo crescere
nell’arte di comunicare, il cui centro non è una teoria o una tecnica, ma la «capacità del cuore che
rende possibile la prossimità» (Esort. ap. Evangelii gaudium , 171).

Tutti abbiamo le orecchie, ma tante volte anche chi ha un udito perfetto non riesce ad ascoltare
l’altro. C’è infatti una sordità interiore, peggiore di quella fisica. L’ascolto, infatti, non riguarda solo
il senso dell’udito, ma tutta la persona. La vera sede dell’ascolto è il cuore. Il re Salomone, pur
giovanissimo, si dimostrò saggio perché domandò al Signore di concedergli «un cuore che ascolta»
(1 Re 3,9). E Sant’Agostino invitava ad ascoltare con il cuore (corde audire), ad accogliere le
parole non esteriormente nelle orecchie, ma spiritualmente nei cuori: «Non abbiate il cuore nelle
orecchie, ma le orecchie nel cuore». [1] E San Francesco d’Assisi esortava i propri fratelli a
«inclinare l’orecchio del cuore». [2]

Perciò, il primo ascolto da riscoprire quando si cerca una comunicazione vera è l’ascolto di sé, delle
proprie esigenze più vere, quelle inscritte nell’intimo di ogni persona. E non si può che ripartire
ascoltando ciò che ci rende unici nel creato: il desiderio di essere in relazione con gli altri e con
l’Altro. Non siamo fatti per vivere come atomi, ma insieme.

L’ascolto come condizione della buona comunicazione

C’è un uso dell’udito che non è un vero ascolto, ma il suo opposto: l’origliare. Infatti, una
tentazione sempre presente e che oggi, nel tempo del social web , sembra essersi acuita è quella di
origliare e spiare, strumentalizzando gli altri per un nostro interesse. Al contrario, ciò che rende la
comunicazione buona e pienamente umana è proprio l’ascolto di chi abbiamo di fronte, faccia a
faccia, l’ascolto dell’altro a cui ci accostiamo con apertura leale, fiduciosa e onesta.

La mancanza di ascolto, che sperimentiamo tante volte nella vita quotidiana, appare purtroppo
evidente anche nella vita pubblica, dove, invece di ascoltarsi, spesso “ci si parla addosso”. Questo è
sintomo del fatto che, più che la verità e il bene, si cerca il consenso; più che all’ascolto, si è attenti
all’ audience . La buona comunicazione, invece, non cerca di fare colpo sul pubblico con la battuta
ad effetto, con lo scopo di ridicolizzare l’interlocutore, ma presta attenzione alle ragioni dell’altro e cerca di far cogliere la complessità della realtà. È triste quando, anche nella Chiesa, si formano
schieramenti ideologici, l’ascolto scompare e lascia il posto a sterili contrapposizioni.

In realtà, in molti dialoghi noi non comunichiamo affatto. Stiamo semplicemente aspettando che
l’altro finisca di parlare per imporre il nostro punto di vista. In queste situazioni, come nota il
filosofo Abraham Kaplan, [3] il dialogo è un duologo , un monologo a due voci. Nella vera
comunicazione, invece, l’io e il tu sono entrambi “in uscita”, protesi l’uno verso l’altro.

L’ascoltare è dunque il primo indispensabile ingrediente del dialogo e della buona comunicazione.
Non si comunica se non si è prima ascoltato e non si fa buon giornalismo senza la capacità di
ascoltare. Per offrire un’informazione solida, equilibrata e completa è necessario aver ascoltato a
lungo. Per raccontare un evento o descrivere una realtà in un reportage è essenziale aver saputo
ascoltare, disposti anche a cambiare idea, a modificare le proprie ipotesi di partenza.

Solo se si esce dal monologo, infatti, si può giungere a quella concordanza di voci che è garanzia di
una vera comunicazione. Ascoltare più fonti, “non fermarsi alla prima osteria” – come insegnano gli
esperti del mestiere – assicura affidabilità e serietà alle informazioni che trasmettiamo. Ascoltare
più voci, ascoltarsi, anche nella Chiesa, tra fratelli e sorelle, ci permette di esercitare l’arte del
discernimento, che appare sempre come la capacità di orientarsi in una sinfonia di voci.

Ma perché affrontare la fatica dell’ascolto? Un grande diplomatico della Santa Sede, il Cardinale
Agostino Casaroli, parlava di “martirio della pazienza”, necessario per ascoltare e farsi ascoltare
nelle trattative con gli interlocutori più difficili, al fine di ottenere il maggior bene possibile in
condizioni di limitazione della libertà. Ma anche in situazioni meno difficili, l’ascolto richiede
sempre la virtù della pazienza, insieme alla capacità di lasciarsi sorprendere dalla verità, fosse pure
solo un frammento di verità, nella persona che stiamo ascoltando. Solo lo stupore permette la
conoscenza. Penso alla curiosità infinita del bambino che guarda al mondo circostante con gli occhi
sgranati. Ascoltare con questa disposizione d’animo – lo stupore del bambino nella consapevolezza
di un adulto – è sempre un arricchimento, perché ci sarà sempre una cosa, pur minima, che potrò
apprendere dall’altro e mettere a frutto nella mia vita.

La capacità di ascoltare la società è quanto mai preziosa in questo tempo ferito dalla lunga
pandemia. Tanta sfiducia accumulata in precedenza verso l’“informazione ufficiale” ha causato
anche una “infodemia”, dentro la quale si fatica sempre più a rendere credibile e trasparente il
mondo dell’informazione. Bisogna porgere l’orecchio e ascoltare in profondità, soprattutto il
disagio sociale accresciuto dal rallentamento o dalla cessazione di molte attività economiche.

Anche la realtà delle migrazioni forzate è una problematica complessa e nessuno ha la ricetta pronta
per risolverla. Ripeto che, per vincere i pregiudizi sui migranti e sciogliere la durezza dei nostri
cuori, bisognerebbe provare ad ascoltare le loro storie. Dare un nome e una storia a ciascuno di loro.
Molti bravi giornalisti lo fanno già. E molti altri vorrebbero farlo, se solo potessero.
Incoraggiamoli! Ascoltiamo queste storie! Ognuno poi sarà libero di sostenere le politiche
migratorie che riterrà più adeguate al proprio Paese. Ma avremo davanti agli occhi, in ogni caso,
non dei numeri, non dei pericolosi invasori, ma volti e storie di persone concrete, sguardi, attese,
sofferenze di uomini e donne da ascoltare.

Ascoltarsi nella Chiesa

Anche nella Chiesa c’è tanto bisogno di ascoltare e di ascoltarci. È il dono più prezioso e generativo
che possiamo offrire gli uni agli altri. Noi cristiani dimentichiamo che il servizio dell’ascolto ci è
stato affidato da Colui che è l’uditore per eccellenza, alla cui opera siamo chiamati a partecipare.​
«Noi dobbiamo ascoltare attraverso l’orecchio di Dio, se vogliamo poter parlare attraverso la sua
Parola». [4] Così il teologo protestante Dietrich Bonhoeffer ci ricorda che il primo servizio che si
deve agli altri nella comunione consiste nel prestare loro ascolto. Chi non sa ascoltare il fratello ben
presto non sarà più capace di ascoltare nemmeno Dio. [5]

Nell’azione pastorale, l’opera più importante è “l’apostolato dell’orecchio”. Ascoltare, prima di
parlare, come esorta l’apostolo Giacomo: «Ognuno sia pronto ad ascoltare, lento a parlare» (1,19).
Dare gratuitamente un po’ del proprio tempo per ascoltare le persone è il primo gesto di carità.

È stato da poco avviato un processo sinodale. Preghiamo perché sia una grande occasione di ascolto
reciproco. La comunione, infatti, non è il risultato di strategie e programmi, ma si edifica
nell’ascolto reciproco tra fratelli e sorelle. Come in un coro, l’unità non richiede l’uniformità, la
monotonia, ma la pluralità e varietà delle voci, la polifonia. Allo stesso tempo, ogni voce del coro
canta ascoltando le altre voci e in relazione all’armonia dell’insieme. Questa armonia è ideata dal
compositore, ma la sua realizzazione dipende dalla sinfonia di tutte e singole le voci.

Nella consapevolezza di partecipare a una comunione che ci precede e ci include, possiamo
riscoprire una Chiesa sinfonica, nella quale ognuno è in grado di cantare con la propria voce,
accogliendo come dono quelle degli altri, per manifestare l’armonia dell’insieme che lo Spirito
Santo compone.

Roma, San Giovanni in Laterano, 24 gennaio 2022, Memoria di San Francesco di Sales.

Francesco
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[1] «Nolite habere cor in auribus, sed aures in corde» ( Sermo 380, 1: Nuova Biblioteca Agostiniana
34, 568).
[2] Lettera a tutto l’Ordine : Fonti Francescane, 216.
[3] Cfr The life of dialogue, in J. D. Roslansky ed., Communication. A discussion at the Nobel
Conference , North-Holland Publishing Company – Amsterdam 1969, 89-108.
[4] D. Bonhoeffer, La vita comune , Queriniana, Brescia 2017, 76.
[5] Cfr ibid. , 75.