Il 1° gennaio è la festa di Maria, madre di Dio

La liturgia del primo Gennaio è sempre molto ricca di spunti, quasi a contrastare il clima un po’ sonnolento che fa seguito alle tradizionali feste di Capodanno. Ci sono tre temi che si intrecciano e si rafforzano a vicenda: la celebrazione dell’inizio di un nuovo anno, la Giornata mondiale della pace e la festa di Maria Madre di Dio. La chiesa affida quindi alla Madonna l’anno appena iniziato: il nuovo anno è un nuovo tempo che Dio dona all’umanità e alla stessa creazione.

La proclamazione di Maria, Madre di Dio, è stato il primo dogma mariano della storia, nel concilio di Efeso del 431. Il concilio venne convocato da Papa Celestino per dirimere una questione che stava dividendo la giovane cristianità. Si confrontavano due scuole: una capeggiata da Nestorio, patriarca di Costantinopoli, secondo cui il titolo da attribuire a Maria era “Madre di Cristo”, in quanto madre della natura umana di Cristo, distinta dalla natura divina. L’altra posizione, sostenuta da Cirillo di Alessandria, qualificava Maria come “Madre di Dio”, considerando l’unione inscindibile tra natura umana e natura divina di Cristo, vero Dio e vero uomo.

Il “Buon Anno” che Dio ci rivolge è la formula di benedizione che troviamo nel libro dei Numeri (6,22-27). Era la benedizione che i sacerdoti di Israele pronunciavano davanti al popolo riunito per invocare la presenza benefica di Dio: “Ti benedica il Signore e ti custodisca. Il Signore faccia risplendere per te il tuo volto e ti faccia grazia. Il Signore rivolga a te il suo volto e ti conceda pace”.

Ricordiamo innanzitutto il significato della benedizione nella Bibbia. Può indicare due cose: l’atto di elogiare, di congratularsi, di rendere omaggio oppure il ricordare che Dio è in mezzo a noi e ci guida lungo il cammino. Chiedere al Signore che ci benedica significa allora augurarsi che Dio, nel corso del nuovo anno, guardando alla nostra vita, abbia tanti motivi per elogiarci e dirci “Bravo!”, e invocare la sua costante presenza accanto a noi. La tradizionale risposta alla benedizione, il segno della croce, esprime la nostra disponibilità ad accoglierlo nella nostra vita, a fargli posto.

Nel testo c’è una espressione paradossale, là dove si chiede a Dio di “far risplendere” il suo volto: non viene invocata solo una generica presenza, ma una presenza splendente, quasi visibile, pur sapendo che il volto di Dio per un ebreo non potrà mai essere visibile. Noi dovremo cercare il volto di Dio nel volto dei fratelli, anche se celato dietro la mascherina!

Nel vangelo (Lc 2,16-21) troviamo due scene: la visita dei pastori a Gesù e la presentazione di Gesù al tempio. Se la seconda è più importante dal punto di vista teologico, la prima è una delle più care alla pietà popolare: basti pensare alla tradizione del presepio e alla moltitudine di personaggi che hanno trovato forma nelle statuine.

Presentando Gesù al tempio Giuseppe e Maria adempiono fedelmente quanto previsto dalla legge ebraica, che imponeva la circoncisione, l’imposizione del nome, la presentazione del primogenito. Con questo atto, un bambino diventava membro a tutti gli effetti del popolo ebraico. Il bambino viene chiamato Gesù, secondo il comando che Maria aveva ricevuto dall’angelo. Si tratta di un nome comune: tanti bambini primo e dopo di lui hanno portato questo nome. Il nome ebraico è “Jeusua”, tradotto con Gesù o Giosuè e significa “Dio salva, Dio è salvezza”.  Nel caso di Gesù di Nazaret il nome è chiaramente indicativo della futura missione.

  Anche il 2022 rientra nel progetto di salvezza di Dio: e allora Buon Anno!

Battista Galvagno