L’appello di Brunetti alla città: san Lorenzo ci aiuti tutti a vedere nei poveri il nostro tesoro

La festa del patrono, con la sua vita cristiana esemplare, ci spinge a guardare «ai problemi sociali dei nostri giorni, aggravati da una pandemia che sembra non finire mai». Così si è rivolto alla città di Alba il vescovo Marco Brunetti, nell’omelia tenuta martedì 10 agosto, festa di san Lorenzo, patrono della città e titolare della chiesa cattedrale. Il pensiero del pastore albese è andato ai lavoratori che rischiano il posto di lavoro, agli emigrati impiegati nelle nostre colline e senza una dignitosa sistemazione, a quanti hanno visto moltiplicarsi i loro problemi di salute a seguito della pandemia specie i malati psichici e quelli affetti da ludopatia.

    «Faccio appello alle istituzioni perché la nostra ricca città faccia di più, onorando così il santo patrono. Insieme possiamo farcela! Forse ciascuno di noi potrebbe essere oggi quel san Lorenzo che vedeva nei poveri il vero tesoro della Chiesa», ha invocato monsignor Brunetti.

    Di seguito diamo il testo integrale dell’omelia:

 

 

 

SOLENNITÀ DI SAN LORENZO MARTIRE

PATRONO DELLA CITTÀ DI ALBA E DELLA DIOCESI

MARTEDI’ 10 AGOSTO 2021 – CATTEDRALE DI SAN LORENZO IN ALBA

 

 

Carissimi fratelli e sorelle,

oggi la nostra Chiesa albese e la nostra città di Alba celebrano solennemente la festa del loro santo patrono san Lorenzo, diacono e martire, nella cattedrale a lui dedicata.

È una bella occasione ritrovarci qui tutti insieme a invocare e a celebrare il nostro santo patrono, cioè colui che i nostri padri hanno scelto come intercessore a favore del nostro popolo.

La liturgia inizia la celebrazione della festa di san Lorenzo con questa antifona: «Questi è il diacono san Lorenzo, che diede la sua vita per la Chiesa: egli meritò la corona del martirio, per raggiungere in letizia il Signore Gesù Cristo». Questi quattro versetti, pur nella loro brevità, hanno la forza di delineare in modo profondo ed efficace la figura spirituale di san Lorenzo. Poche pennellate sulla sua vita e sul suo martirio, con il risultato di un quadro affascinante.

Lorenzo è al servizio della Chiesa: questo è il senso del suo operare, anzi del suo stesso essere. Per la verità tocchiamo qui un valore e un’esigenza che ci riguarda tutti, a partire dalle nostre radici cristiane, ossia dal Battesimo che abbiamo ricevuto. Essere battezzati, rinascendo dall’acqua e dallo Spirito, significa divenire membri di Cristo Signore e del suo Corpo che è la Chiesa. E divenendo membri della Chiesa, ossia partecipi della sua vita e della sua missione, i battezzati sono posti al servizio della Chiesa.
Già come cristiano battezzato Lorenzo si qualifica, dunque, come servitore della Chiesa. Ma la sua fondamentale vocazione battesimale ha conosciuto un ulteriore sviluppo particolare con la chiamata a essere diacono: così a un titolo nuovo e più impegnativo Lorenzo si trova al servizio della Chiesa.

Sì, ma la Chiesa non è una realtà astratta: è realtà concreta, viva; è fatta di persone battezzate ma che vivono in mezzo e in rapporto agli altri. E così il servizio alla Chiesa significa per Lorenzo apertura, attenzione, aiuto a tutti: a quanti sono nella Chiesa e a quanti si rivolgono a essa. A tutti, certo: senza nessuna esclusione e discriminazione. Ma con la predilezione per i poveri e per gli emarginati. A questi, sin dalle origini della Chiesa, si rivolge il servizio proprio dei diaconi (cfr. Atti 6,1ss).

La sorgente del dono è il cuore, e dunque l’amore. Può servire la Chiesa solo chi la sa amare! E il servizio alla Chiesa nei suoi contenuti e nelle sue caratteristiche è definito e misurato dall’amore. Ora all’amore non basta dare le cose che si possiedono: l’amore spinge al dono di sé stessi.

Il dare le cose è senz’altro importante, anzi è del tutto necessario e urgente in una società segnata da troppe ingiustizie, a cominciare da quelle economiche, per le quali alcuni sono ricchi, troppo ricchi e altri invece sono poveri, troppo poveri.

Il dare le cose superflue e inutili è allora questione di giustizia prima ancora che di amore. Ma è, questa, una giustizia troppo trascurata, se non persino pesantemente calpestata. L’esperienza infatti insegna che la ricchezza chiude il cuore e gli occhi e le mani: Epulone, il ricco di cui ci parla il Vangelo, è così assorto dalla sua porpora e dai suoi quotidiani e lauti banchetti che non s’accorge neppure di Lazzaro che sta in attesa di qualche briciola (cfr. Luca 16,19ss). L’amore però non si accontenta di dare le cose: ispira e sostiene il dono di sé stessi agli altri. Anzi solo il dono di sé rende possibile il dono delle proprie cose.

Questo dono – precisa ancora l’apostolo – non deve avvenire né con tristezza né per forza: dunque deve avvenire nella gioia e nella libertà. Questo, infatti, è il disegno che Dio ha sull’uomo: «perché Dio ama chi dona con gioia».

Questo vissuto testimoniato da san Lorenzo ci interroga e ci interpella rispetto ai problemi sociali dei nostri giorni, aggravati da una pandemia che sembra non finire mai.

Penso ai posti di lavoro che, dopo l’estate con la ripresa, sono a rischio a causa dello sblocco dei licenziamenti;

penso agli emigrati che giungeranno nella nostra città per lavorare nelle vigne e faranno fatica a trovare un posto dove dormire e dove lavarsi, sapendo che queste sono persone che vanno accolte e accompagnate dignitosamente e non considerate forza lavoro o manodopera da assistere;

penso a quanti a causa della pandemia sono aggravati da disturbi psichici, come la depressione o altre fragilità mentali, talvolta indotte dalla solitudine, dalla disperazione o anche dal gioco patologico, di cui non siamo stati capaci a dare continuità a delle norme che aiutavano a reprimere l’azzardo, visti i danni che produce alla salute, come affermato dagli stessi esperti del Ministero della salute.

Forse sono queste e altre situazioni che oggi vedrebbero san Lorenzo in prima linea a testimoniare quell’amore che viene dall’aver incontrato Gesù.

Faccio appello alle istituzioni perché la nostra ricca città faccia di più, onorando così il santo patrono. Insieme possiamo farcela!

Forse ciascuno di noi potrebbe essere oggi quel san Lorenzo che vedeva nei poveri il vero tesoro della Chiesa.

La vita e la testimonianza del nostro santo patrono ci spronano a quella fraternità di cui papa Francesco ci ha scritto nella sua enciclica Fratelli tutti.

Le sue parole sono chiare: «”Dio è amore; chi rimane nell’amore rimane in Dio e Dio rimane in lui” (1Gv 4,16). In questo modo è stato un padre fecondo che ha suscitato il sogno di una società fraterna, perché solo l’uomo che accetta di avvicinarsi alle altre persone nel loro stesso movimento, non per trattenerle nel proprio, ma per aiutarle a essere maggiormente sé stesse, si fa realmente padre».

Anche noi vogliamo coltivare questo sogno di una società fraterna, per questo ci affidiamo all’intercessione del nostro patrono affinché questa nostra città possa essere sempre più fraterna. Amen.

† Marco vescovo