Auguri a don Lisa per i suoi 90 anni

“Cari amici, Spero che non vi dispiaccia ricevere una mia lettera collettiva, dopo lungo silenzio, senza neppure dovervi aggiungere la irritante scusa della mancanza di tempo. Confesso la mia incapacità di gestire il tempo. Ma vi farà piacere il sentirvi inseriti in una più grande cerchia di amici, con cui vi sto collegando, grazie non alla mia persona, ma piuttosto a causa dei poveri e della solidarietà. Quando ciascuno di noi pensa ai poveri, finisce per incontrarsi con tutti. I poveri sono la via più corta per arrivare agli altri e perfino a Dio”. Così il 2 dicembre 1991 don Lisa scriveva in una lettera comunitaria. E continuava: “Spesso ci abituiamo a considerare la povertà, l’ingiustizia, la disgrazia come se fossero solo un fatto naturale, ossia una fatalità. Non c’è bisogno di angustiarsi. Ci si fa il callo. Diventa anche del tutto logica o naturale la repressione o perfino il linciaggio. Anche in Europa è così. Il drogato, il malato di aids, la gente di colore sono una specie di tumore della società. Si prendono i provvedimenti adeguati. Quasi tutti concordano. La parte è sacrificata al tutto. E un processo naturale. Colpevole è sempre la natura. La frana non è forse fatta di terra? E certi individui non sono già nati così? Non sappiamo vedere la frana sociale e politica, che sta dentro quella naturale”.

A Ceresole, dove nasce, la sua adolescenza è segnata dalla immagine cruenta di giovani partigiani impiccati in piazza dai nazifascisti. Trauma da lui mai dimenticato, ma la sua intelligenza vivace e la sua passione per una visione complessiva della vita lo portò in seminario ad Alba. Divenuto prete consolidò la sua ricerca alla Università cattolica di Milano, dove costruì una fitta rete di amicizie tra compagni e docenti.

Richiamato in Diocesi ricevette l’incarico di animare il Seminario: Lavorò per una comunità integrale, responsabile e missionaria.

Così scriveva Tista ricordando di quel tempo: “In occasione della morte per leucemia di un compagno di liceo, Giovanni Roggero, nel 1968, evento che ci sconvolse, don Lisa, responsabile della comunità ci aiutò a leggerlo in chiave di fede e ci suggerì questo impegno: “Promettiamo di lottare con tutte le nostre forze contro la superficialità e l’egoismo”

La comunità dei chierici era chiamata “Domus” e “Comunità-Nazareth”. Fu bloccata questa esperienza e da un giorno all’altro a don Lisa fu comunicato di consegnare le chiavi e mandato Parroco a Pollenzo.

Una manciata di anni: una casa parrocchiale aperta e accogliente, abiti sgualciti e scarpe consumate, argomentazioni lucide e taglienti nel denunciare ipocrisie e ingiustizie, risate e discussioni infuocate di vita.

Scriveva un giovane: ” E se il tuo pensiero era diverso dal suo, allora il suo sorriso si apriva ancora di più, la sua curiosità aumentava per accendere una nuova discussione, per capire meglio le ragioni delle tue tesi e presentare le sue. Ti faceva sentire importante; era il suo modo per dire “Tu vali”. Ed in questo suo sguardo, tu coglievi un riflesso dell’amore di Dio. Andava ripetendo che bisogna mettere al centro non se stessi ma Cristo e la Chiesa, che bisogna amare Cristo, e amare la Chiesa pur sapendo che non è perfetta”.

Così è scritto nelle motivazioni alla consegna di cittadinanza onoraria della città di Bra: “Fu punto di riferimento, in un momento di difficoltà istituzionali e sociali per credenti e non credenti in ricerca, favorendo una sinergia di forze che potessero operare anche all’interno della Frazione. Non si è limitato a lavorare per la Comunità locale. E’ diventato punto di riferimento per centinaia di persone provenienti anche da molto lontano.

     Nel 1977 incomincia la sua nuova missione a Teofilo Otoni in Brasile animando e promovendo nelle comunità locali i movimenti popolari con lo stile e l’impegno che gli sono congeniali. Ha aperto centri di accoglienza e soprattutto un centro innovativo di formazione APJ (Aprender Produzir Juntos- Imparare e produrre insieme): una sigla che racchiude impegno, partecipazione, responsabilità e sviluppo in un autentico programma di promozione umana”.

Così in una lettera descriveva le sue giornate in Brasile:” Passo molto tempo in piccole cose e a volte in cose molte grandi. Dio voglia che anche le piccole cose siano grandi. Debbo fare l’assistente sociale interrompendo a ogni momento qualsiasi cosa che sto facendo (compresa questa lettera); debbo fare lavoro pastorale, debbo fare lavoro pedagogico a tutti i livelli di qualità e di età. E’ una situazione invidiabile la mia, perché mi costringe a non essere più padrone del mio tempo; i poveri me lo rubano tutto. Ma in realtà le cose non vanno così bene dentro di me, perché mi manca la pazienza e questo mi avvisa che sono ancora ben distante dall’essere libero di me stesso. Tutti questi lavori che ho citato mi appassionano moltissimo. Inoltre ho degli amici e altri meno amici che mi lodano o mi criticano dicendo che faccio politica. Ma questo è abbastanza difficile da definire. Per me, come prete, fare politica non è una nuova attività che si aggiunge alle altre già fatte. Anche la recita del Padre Nostro è un atto politico. Cerco di essere politico come ogni essere umano e cristiano deve esserlo. Niente di più”.

Nel rari momenti trascorsi con lui in Brasile, ben prima delle cinque del mattino, l’ho visto in preghiera nella piccola cappella. Lì traeva la sua forza creativa, dirompente e umanissima. Ho compreso meglio queste sue parole: “Vedere Dio è difficile, ma il povero che si vede un giorno ci chiederà se in lui abbiamo scoperto Dio che non si vede. Non c’è Dio fuori del povero, lui è luogo della rivelazione di Dio. Tutto è segno di Dio (fiori, montagne, la messa, la chiesa…), ma se tutto questo non ci porta a scoprire che Dio sta là, anche la religione non serve a niente. Il vero ateo è colui che non incontra Dio nel povero”.                                                                                                                                                                                         

Ora è fragile, senza voce, seguito con affetto da Paolo e Renata e da molti amici; continua ad essere un testimone, un profeta coraggioso, amato dalla povera gente, immagine di una chiesa dal volto rinnovato dalle sofferenze condivise con lo sguardo inquieto volto ad un futuro di Fratelli e Sorelle tutti, con la passione di accogliere senza giudicare, sempre “Diocesi senza frontiere”.

Auguri don Lisa per i tuoi 90 anni da tutti e tutte noi!

Gino Chiesa