Messa crismale: cari sacerdoti diffondiamo il profumo della speranza

«Costruiamo un’autentica cultura della cura, a cominciare dalle nostre relazioni sacerdotali e diaconali. Impegniamoci ad essere sempre più Chiesa sacramento di salvezza in cui tutti siamo chiamati a portare frutto nella carità. Non possiamo correre il rischio di essere superficiali. Gli oli, che ci sono affidati, risanano le ferite, restituiscono dignità, diffondono il profumo della speranza. È da qui che abbiamo il bisogno di ripartire».

Con queste parole monsignor Marco Brunetti ha esortato i sacerdoti e diaconi della diocesi nella Messa crismale di stamattina, la celebrazione che apre il triduo pasquale e nella quale vengono benedetti gli oli usati nelle celebrazioni dei sacramenti, oltre a essere l’occasione per il rinnovo delle promesse sacerdotali nelle mani del vescovo. La celebrazione, che ogni anno raccoglie il clero diocesano attorno al vescovo nella cattedrale (come da foto d’archivio), questa volta è stata adeguata alle misure anti-Covid, con il dovuto distanziamento e senza la consegna diretta  degli oli santi.

    Di seguito diamo il testo integrale dell’omelia.

 

Santa Messa del Crisma                                                

OMELIA DEL VESCOVO MARCO

Cattedrale di San Lorenzo

 ALBA – Giovedì Santo, 1aprile 2021 

 

    Carissimi fratelli e sorelle, carissimi sacerdoti, diaconi, religiosi e religiose,

siamo raccolti come gli apostoli nel cenacolo, un po’ impauriti e frastornati da questo tempo difficile, ma rasserenati dalla presenza di Gesù.

Siamo radunati per celebrare l’Eucaristia, benedire gli oli santi e rinnovare le promesse della nostra ordinazione sacerdotale e diaconale.

È una gioia grande, un segno forte, visibile, della misericordia di Dio verso di noi, verso il mondo intero essere qui radunati.

Portiamo il peso e la fatica di questo tempo di sofferenza ma abbiamo anche la certezza che il Signore non ci ha mai lasciati soli, tantomeno ora.

Sento il bisogno di ringraziare quanti non si sono mai fermati e si sono adoperati a non far mancare a nessuno segni di vicinanza, di aiuto… segni della stessa carità di Cristo.

Sono questi segni che non hanno spento quella piccola fiamma dell’amore di Dio che chiediamo al Signore stamattina di benedire, in noi, nelle nostre famiglie, nelle nostre comunità.

Affidiamo a Lui il tempo che viene, perché lo Spirito di verità, di sapienza, d’amore, ci indichi i passi.

Quello che è accaduto nell’ultimo anno ci sta dicendo molte cose, ha messo in crisi le nostre sicurezze, le nostre abitudini e gli stili di vita, la pretesa di garantirci da noi stessi la nostra esistenza.

Ci siamo riscoperti tutti vulnerabili, ognuno, oggi più che mai, affidato alla cura e alla responsabilità dell’altro.

Il nostro sguardo è inevitabilmente fisso sulle fatiche, le paure, le morti.

    I nostri occhi, però, non sono fissi nel vuoto ma nell’attesa. L’attesa della risurrezione.

Il cuore non è condannato a sentirsi smarrito ma è, per grazia, attratto a uscire dall’offuscamento e dallo sconforto.

Gesù capovolge le nostre prospettive e attese, i nostri schemi, i nostri programmi.

È questo il suo annuncio: una fraternità possibile, come ci ha invitato a fare la Fratelli tutti.

Scriveva papa Francesco lo scorso anno: «In mezzo all’isolamento nel quale stiamo patendo la mancanza degli affetti e degli incontri, sperimentando la mancanza di tante cose, ascoltiamo ancora una volta l’annuncio che ci salva: è risorto e vive accanto a noi. Il Signore ci interpella dalla sua croce a ritrovare la vita che ci attende, a guardare verso coloro che ci reclamano, a rafforzare, riconoscere e incentivare la grazia che ci abita».

    Il Signore ricomincia da noi, da ciascuno di noi. Rompe il silenzio non solo di coloro che sono nella sinagoga ma anche il silenzio che abbiamo custodito, in modo pur maldestro, nei giorni più duri della pandemia che ha colpito e continua a colpire il mondo intero.

La sua voce trasforma il sentire in ascolto: «Oggi si è adempiuta questa Scrittura nei vostri orecchi». Oggi si adempie anche in noi e ci affida la responsabilità del cammino e del futuro.

La fedeltà del Padre, annunciata dal profeta Isaia, si compie in Gesù.

In Gesù la Parola è viva, operante, penetrante.

    La Parola cura, risana e rialza. È lui il Signore della vita, è lui che ha visitato, ascoltato e vinto ogni morte. È lui che attualizza l’oggi della salvezza, ci sveglia dal torpore, ci chiede di ricominciare.

Scriveva don Tonino Bello per l’omelia di una Messa crismale: «La Chiesa è un popolo di sacerdoti. Di gente, cioè, destinata a fare comunione, ad allacciare ponti; a costruire intese, a fabbricare solidarietà, ad alimentare convergenze, a incrementare articolazioni organiche, a combattere la disgregazione, a spegnere le rivalità concorrenziali, a scoraggiare le fughe per la tangente dell’egoismo o del calcolo solitario».

Fra poco benediremo gli oli. Il dono e la responsabilità degli oli sono affidati a tutta la Chiesa. La Chiesa li consacra e li consegna. Sono i segni del rinnovamento continuo della speranza che non muore.

I discepoli, noi, siamo chiamati a ricucire la speranza. E la speranza è questa: Dio ci incontra sempre nel volto dell’altro, nella cura possibile, nelle ferite che ci portiamo dentro e che diventano opportunità di ascolto di chi ci sta di fronte. Ed è proprio questo il sogno della Chiesa che questo tempo sta in qualche modo facendo diventare realtà: la Chiesa è ospedale da campo, compagna di strada degli ultimi, china sui più deboli, segnata dalle sofferenze e dalle cadute dei suoi figli.

    Costruiamo un’autentica cultura della cura, a cominciare dalle nostre relazioni sacerdotali e diaconali.

    Impegniamoci ad essere sempre più Chiesa sacramento di salvezza in cui tutti siamo chiamati a portare frutto nella carità per la vita del mondo, come ho indicato nella mia lettera pastorale Va’ e anche tu fa’ così.

Non possiamo correre il rischio di essere superficiali. Gli oli, che ci sono affidati, risanano le ferite, restituiscono dignità, diffondono il profumo della speranza.

È da qui che abbiamo il bisogno di ripartire.

    Cari fratelli sacerdoti e diaconi, oggi, questo mondo, la nostra gente, ha bisogno di voi. Ha bisogno della vostra ricerca, delle vostre inquietudini, del vostro ascolto, della vostra parola di misericordia, del vostro esserci, del vostro voler bene e del nostro volerci bene.

Sono consapevole che spesso non riesco a esservi vicino come vorrei, ma vi ringrazio per il dono della vostra vita, per quello che vivete, per quel desiderio che vi spinge a sentire, a pensare, a fare, avendo presenti i volti delle vostre comunità.

È questa la fonte sempre viva della speranza della nostra chiamata, è anche il nostro costante bisogno di perdono, della misericordia di Dio.

Ci è chiesto di riscoprirci comunità umana, fraterna, nella via del dialogo e della corresponsabilità.  Siamo fratelli non soci o colleghi.

    Non nascondiamoci più dietro a conflitti inutili, pretestuosi, fissati in noi stessi e nelle nostre ragioni.

Dobbiamo chiederci quale Chiesa vogliamo essere, quale Chiesa il Signore sta continuando a immaginare perché il mondo viva, quale volto avrà il nostro domani.

    A ciascuno è affidata la speranza della nostra vocazione, la gioia del servizio, la fiducia nella fedeltà di Dio che non verrà mai meno.

Il crisma, che tra qualche minuto verrà consacrato, alimenti la nostra ricerca del Signore, della sua volontà, perché possa trovarci pronti a seguirlo.

    Cari sacerdoti e diaconi, la nostra gente ha bisogno di sacerdoti e diaconi capaci di uscire e donare sé stessi. Mentre serviamo siamo segnati dalla fede e dal bene della nostra gente.

Sacerdoti e diaconi in uscita che sanno avvicinarsi all’altro, accogliere tutti, perché nessuno si senta escluso, con pazienza, con mitezza, darsi tempo per far sentire alle persone che Dio ha tempo per loro, voglia di prendersene cura, di benedirli, di perdonarli, di guarirli.

Sacerdoti e diaconi che escono e che stanno davanti al tabernacolo nell’adorazione, che tornano al tabernacolo per riempire di olio le loro lampade prima di tornare fuori nel mondo.

Oggi rinnoviamo la nostra unzione sacerdotale. Sentiamo su di noi la mano del Signore che torna ancora a ungerci. Sentiamo la forza e la tenerezza del suo sguardo, che ancora ci chiama a seguirlo da vicino.

Chiediamo a Maria, nostra Madre, che ci dia la grazia di sentirci uniti, come fratelli a servizio del popolo santo di Dio a cui siamo stati inviati. Amen.