Sacerdoti date voi stessi come Cristo ha dato sé stesso

Nell’omelia pronunciata stamattina in cattedrale, nel corso della Messa del Crisma, il vescovo Marco ha invitato i sacerdoti della diocesi di Alba, che hanno rinnovato le loro promesse sacerdotali, a mantenere viva la carità in tutte le sue dimensioni, sull’esempio di Cristo.

«Gesù», ha sottolineato il vescovo, «ha voluto far giungere la partecipazione sacerdotale del suo ministro fino a questo vertice: “Fate questo in memoria di me!” (Lc 22,19). Nulla è più grande e più essenziale in Gesù che il suo farsi dono; quindi non c’è nulla di più grande ed essenziale del suo farsi servo. La fonte della carità del nostro ministero è in Cristo stesso».

Questa carità che sgorga da Cristo va vissuta vicendevolmente tra i sacerdoti: «La nostra gente ha bisogno di sapere e vedere i suoi sacerdoti e diaconi uniti nella preghiera e nella comunione fraterna. La carità va vissuta anche tra di noi». Ma va estesa in quella che definisce la «carità pastorale di spezzare la parola di Dio, il pane eucaristico e il farsi prossimo», prendendosi «cura delle necessità della nostra gente», in questo momento di pandemia come in ogni tempo.

Infine un ricordo monsignor Brunetti ha dedicato a don Lorenzo Castello e don Cesare Battaglino, accompagnati al cimitero senza «una celebrazione corale che permettesse di esprimere tutta la nostra riconoscenza per il loro ministero speso a servizio del Signore e della nostra amata Chiesa albese».

Diamo di seguito il testo completo dell’omelia:

SANTA MESSA DEL CRISMA

OMELIA DEL VESCOVO MARCO

Alba, Cattedrale San Lorenzo
giovedì, 28 maggio 2020

Carissimi sacerdoti e diaconi è con vera gioia che oggi, dopo un lungo periodo vi incontro in questa nostra cattedrale per celebrare insieme la Messa crismale, per la prima volta in prossimità della Pentecoste.

Ho pensato quest’anno di offrirvi per la Messa del Crisma una riflessione che avesse come suo centro “Il sacerdote e la carità”, anche come naturale sviluppo e compendio dei temi affrontati nella mia lettera pastorale Va’ e anche tu fa’ così.

Gli eventi drammatici che abbiamo vissuto in questo lungo tempo mi inducono non a mutare il tema proposto, ma ad approfondirne il contenuto.

Queste settimane di dolore, di angoscia, di vicinanza e compianto per i fratelli segnati dalla malattia, e forse anche dalla morte causata da un virus che ha reso vuote le nostre spesso frenetiche esistenze costringendoci ad una forzata inattività, hanno probabilmente prodotto in noi qualche effetto inaspettato.

Non solo come partecipi della vita dei fratelli che vedono in tali accadimenti il limite della nostra condizione umana, ma anche come consacrati chiamati oggi a rinnovare le proprie promesse sacerdotali.

Possiamo così verificare se l’invito di Isaia, nella prima lettura, è la misura dell’agire di quella carità per cui siamo stati scelti e di cui l’umanità, a cominciare dai nostri fedeli, ci chiede anche senza saperlo, e forse senza nemmeno volerlo, ma di cui sente di non poter fare a meno: «Il Signore mi ha mandato a portare il lieto annunzio ai poveri  / a fasciare le piaghe dei cuori spezzati / a proclamare la libertà degli schiavi / la scarcerazione dei prigionieri… ».

È questo l’esercizio di quella dimensione profetica che è la carità.

Che prima di un esercizio è la compassione verso il prossimo, senza la quale non siamo che bronzi che risuonano o cembali che tintinnano (1Cor 13,1).

Ma c’è una carità, cari fratelli sacerdoti e diaconi, ancora più alta.  Oserei dire che è la prima carità e che si manifesta come costitutiva del nostro essere preti.

Fra poco nel prefazio così pregheremo: «Egli comunica il sacerdozio regale a tutto il popolo dei redenti, e con affetto di predilezione sceglie alcuni tra i fratelli che mediante l’imposizione delle mani fa partecipi del suo ministero di salvezza… Tu vuoi che nel suo nome rinnovino il sacrificio redentore, preparino ai tuoi figli la mensa pasquale, e, servi premurosi del tuo popolo, lo nutrano con la tua parola e lo santifichino con i sacramenti»

Alla luce di questa sublime invocazione che presenta   aspetti forse a volte dimenticati del nostro ministero, voglio richiamare alcuni principi del suo rapporto con l’Eucaristia che, non dimentichiamolo mai, è azione di grazie, memoriale e presenza.

Caratteristiche così ben espresse da Sacrosantum Concilium n.47: «Il nostro Salvatore nell’ultima Cena, la notte in cui veniva tradito, istituì il sacrificio eucaristico del suo Corpo e del suo Sangue, col quale perpetuare nei secoli, fino al suo ritorno, il sacrificio della croce, e per affidare così alla sua diletta sposa, la Chiesa, il memoriale della sua morte e risurrezione: sacramento di pietà, segno di unità, vincolo di carità, convito pasquale, “nel quale si riceve Cristo, l’anima viene ricolmata di grazia e viene dato il pegno della vita futura”».

Proprio nella celebrazione dell’Eucaristia, si rinnova il supremo atto d’amore di Cristo, così da costituire il vertice della sua divina azione salvifica nella storia.

Gesù ha voluto far giungere la partecipazione sacerdotale del suo ministro fino a questo vertice: «Fate questo in memoria di me!» (Lc 22,19).

La partecipazione ministeriale si estende a tutta l’azione sacerdotale e salvifica di Gesù, ma raggiunge il suo culmine in questa azione.

Nulla è più grande e più essenziale in Gesù che il suo farsi dono; quindi non c’è nulla di più grande ed essenziale del suo farsi servo.

La fonte della carità del nostro ministero è in Cristo stesso, morto e risorto per tutti noi.

La prima carità la dobbiamo esprimere nel nostro rapporto con Gesù, con colui che ci ha scelti e, con il dono dello Spirito e l’imposizione delle mani, ci ha consacrato a servizio della Chiesa e del popolo di Dio che ci è stato affidato: l’Eucaristia quotidiana, la fedeltà alla liturgia delle Ore, l’adorazione eucaristica, la meditazione della Parola rappresentano il primo modo di testimoniare il nostro rapporto d’amore con il Signore.

La nostra gente ha bisogno di sapere e vedere i suoi sacerdoti e diaconi uniti nella preghiera e nella comunione fraterna.

La carità va vissuta anche tra di noi, all’interno del nostro presbiterio, fra diaconi e presbiteri e questi con il vescovo.

Vivere la carità fra di noi significa metterci umilmente in ascolto, non giudicarci gli uni con gli altri, aiutandoci vicendevolmente soprattutto nel momento del bisogno e della sofferenza umana e fisica.

Farsi dono gli uni agli altri, accettandoci per come siamo, esercitando la correzione fraterna quando necessita.

Nessuno di noi sia così presuntuoso da ergersi a giudice dei suoi fratelli, piuttosto facciamoci accoglienti.

Facciamo nostre le parole del Signore: «Amatevi gli uni gli altri: da questo sapranno che siete miei discepoli».

Il popolo santo di Dio deve percepire che i diaconi, i presbiteri e il vescovo si vogliono bene fra di loro.

Vi è poi la carità pastorale, quella del nostro ministero quotidiano che, anche in questo tempo di pandemia, abbiamo cercato di non far venir meno ai nostri fedeli.

È la carità di spezzare la parola di Dio, attraverso le Scritture e le catechesi che abbiamo cercato di continuare a fare con grande creatività pastorale e attraverso i mezzi di comunicazione più diversi.

Questa parola di Dio ha nutrito il nostro popolo, soprattutto in famiglia, dove gli sposi in virtù del sacramento del matrimonio hanno potuto esercitare un vero ministero all’interno della chiesa domestica che questa situazione contingente ci ha fatto riscoprire.

È la carità di spezzare il pane eucaristico, che da pochi giorni abbiamo potuto riprendere con le nostre comunità, sia pure con molta prudenza.

Forse questo digiuno eucaristico forzato, per il bene della nostra salute, ci ha aiutato ad apprezzarlo ulteriormente insieme agli altri sacramenti di cui noi siamo dispensatori in virtù della nostra consacrazione di cui oggi rinnoviamo le promesse sacerdotali.

È la carità del farsi prossimo e prendersi cura delle necessità della nostra gente che manifesta il bisogno di ascolto, di accompagnamento, di sostegno spirituale e sociale.

Molti di voi, cari diaconi e sacerdoti, avete continuato a vivere la carità verso i poveri, i malati e le persone fragili e questo credo ci rende tutti più credibili e per questo permettete che vi dica grazie.

Siamo chiamati, nei prossimi mesi, a tornare ancora sul rapporto ministero ordinato e carità, di cui questa mattina ho voluto tracciare appena un indice.

In questo ritrovarci insieme vorrei che lo Spirito Santo che fra pochi giorni celebreremo solennemente nella festa di Pentecoste, possa scendere su ciascuno di noi abbondantemente per confermarci nelle nostre promesse sacerdotali, per consacrare gli oli che serviranno alla vita sacramentale delle nostre comunità, per consolare e sostenere tutto il nostro presbiterio, specialmente gli anziani e i malati, per confermare nel loro impegno missionario i nostri sacerdoti “fidei donum” in Brasile e in Bangladesh.

Lasciate che un ricordo speciale, in questo giorno, lo dedichiamo ai nostri due confratelli tornati alla casa del Padre in questo tempo di pandemia, accompagnandoli al cimitero per le esequie in assenza di una celebrazione corale che permettesse di esprimere tutta la nostra riconoscenza per il loro ministero speso a servizio del Signore e della nostra amata Chiesa albese, mi riferisco a don Lorenzo Castello e don Cesare Battaglino.

La Vergine santa, che in questo tempo abbiamo invocato e pregato con i diversi titoli sparsi per i santuari della nostra diocesi e che era presente nel cenacolo con gli apostoli il giorno di Pentecoste, ci custodisca e sia per tutti noi icona di carità che contempliamo nella sua visita alla cugina Elisabetta. Amen.