La scuola paritaria non vuole privilegi

ALBA Ogni qualvolta si parla di scuola paritaria, sorgono le polemiche e si cade nei luoghi comuni, come è successo a Corrado Augias che su Repubblica del 20 maggio pubblica l’articolo Prima la scuola pubblica, rievocando tutta una serie di pregiudizi sulla scuola paritaria, smentiti dai fatti, ma sempre nella mente di chi ha il paraocchi dell’ideologia.

Il pretesto questa volta viene dalla richiesta di sostegno avanzata dalle scuole paritarie a seguito del blocco dell’attività didattica. In un Paese civile non ci sarebbero problemi, anche le scuole paritarie, oltre che fornire un servizio alla collettività a costi convenientissimi, sono attività economiche come tutte le altre e non si capisce perché lo Stato dovrebbe aiutare tutte le aziende pubbliche e private, ma non le scuole paritarie.

Sul tema sono del 19 maggio le due note della Cei (Conferenza episcopale italiana) e della Cep (Conferenza episcopale piemontese), che alleghiamo. Nel frattempo è stata diffusa la notizia che nel Decreto del Governo sono previsti alcuni milioni anche per le scuole paritarie.

Per una visione più organica dei problemi legati alle scuole paritarie in Italia, nella speranza di fare chiarezza, pubblichiamo l’articolo Piena cittadinanza di don Ivan Maffeis, sottosegretario della Cei, che uscirà sul mensile Vita Pastorale di giugno.


Scuole paritarie e sostenibilità economica

Piena cittadinanza

di don Ivan Maffeis

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Il linguaggio della guerra li liquida come “danni collaterali”, conseguenze direttamente forse non volute, ma comunque dai costi pesanti per la popolazione. La situazione che viviamo non fa eccezione: l’emergenza sanitaria ha subìto preso il volto di un’emergenza economica, con ricadute enormi sulle famiglie, a partire da quelle già prima provate dalle difficoltà o al limite della sussistenza.

Nell’effetto domino finisce inevitabilmente coinvolta anche la scuola paritaria, alle prese con un’ipoteca che ne compromette la stessa possibilità di riaprire i battenti a settembre.

Tutta colpa della pandemia, dunque? Le cose, lo sappiamo, stanno in maniera diversa. La tempesta che sta flagellando il Paese s’è abbattuta su un sistema scolastico che già annaspava sul piano della sostenibilità economica. Molte scuole paritarie sono esposte a debiti accumulati negli anni, a fronte di rette non sufficienti a coprirne i costi; debiti affrontati con passione, dedizione e professionalità, in nome di un progetto educativo e di un programma formativo ai quali si ostinano a non voler rinunciare. Prima ancora, queste scuole soffrono la faziosità con cui sono guardate.

A minarne la sopravvivenza è, infatti, una sorta di discriminazione culturale, che impedisce di riconoscere loro piena cittadinanza. Ne porta traccia un vocabolario che ancora le considera “private”, scuole di classe, diplomifici per asini d’oro.

Questo pregiudizio ideologico segna un primato, un’eccezione nazionale, che non si riscontra più nemmeno nella laica Europa, dove il muro è caduto e il valore culturale costituito dalle paritarie è riconosciuto e apprezzato. In casa nostra, paradossalmente, non passa nemmeno il criterio dell’investimento: è risaputo che all’anno fanno risparmiare allo Stato oltre 7 mila euro per alunno, per cui la prospettiva di una scomparsa delle scuole paritarie costituirebbe un aggravio di diversi miliardi di euro sul bilancio della collettività. Senza aggiungere che, una volta chiuse, ci si troverà subito ad affrontare la mancanza di servizi con cui supplirle, in termini di strutture, palestre, scuolabus, mense e soprattutto insegnanti.

Prima di tornare sull’aspetto economico, forse è importante aver prontezza della partita in gioco: ruota attorno a un’utenza complessiva di circa un milione di persone, se ai 900 mila allievi aggiungiamo i 100 mila dipendenti, ripartiti su 12 mila scuole. Quelle aule sono abitate dalla ricchezza di un presidio educativo unico, che realizza spazi di libertà educativa e sussidiarietà, princìpi essenziali in democrazia.

Qui, forse, si arriva a mettere il dito sulla piaga. La volontà, più o meno dichiarata, di ricondurre il percorso scolastico a un monopolio dello Stato, si sposa in pieno con la fatica di quest’ultimo a porre davvero la famiglia al centro delle proprie politiche. Al riguardo, le dichiarazioni di principio si sprecano, senza trovare la modalità per tradursi in misure di sostegno.

La famiglia – comunità affettiva ed educativa con le sue risorse e fragilità, le sue ricchezze morali e le sue ferite relazioni – è ancora sistematicamente respinta nella sfera privata, confusa o omologata ad altre forme di convivenza, penalizzata dall’enfasi posta sull’individuo. Anche in questi lunghi mesi non è forse stata la famiglia a portare con dignità e senso civico il carico maggiore?

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E non sarà ancora proprio la famiglia il principale soggetto che consentirà al Paese di rialzarsi?

A prima vista, il filo del discorso sembra essersi allontanato dall’ambito scolastico. In realtà, quello che si chiede al Governo non è un aiuto specifico alle paritarie – che potrebbe essere interpretato come una sorta di privilegio–bensì opportunità e servizi, solidarietà e sviluppo alla famiglia, contribuendo a restituire a quest’ultima la necessaria serenità. La scuola paritaria non vuole soldi dallo Stato, ma che sia riconosciuta per l’importante servizio pubblico che offre. In concreto, significa garantire– anche per quanti sono poveri – il diritto alla libertà di scelta educativa dei genitori, il diritto di apprendere da parte dello studente e il diritto alla libertà di insegnamento dei docenti, senza la grave discriminazione economica che si perpetua da troppo tempo.

Va in questa direzione l’appello accorato che, in queste settimane, s’è espresso a una sola voce da genitori, religiose e religiosi, vescovi e realtà territoriali, affinché si arrivi a porre un segnale di chiara volontà politica.

In questa situazione, forse, sarebbe plausibile anche avviare una riflessione sulla Legge 222/1985. Essa stabilisce che la Chiesa cattolica può usare le somme provenienti dall’otto per mille che i cittadini le destinano per «esigenze di culto della popolazione, sostentamento del clero, interventi caritativi a favore della collettività nazionale o di Paesi del terzo mondo». Anche qui vengono escluse, sulla base di un pregiudizio tardo a morire, le opere educative, accademiche e scientifiche in quanto tali. Laddove “caritativi” fosse integrato con “educativi e formativi”, prevedendo “interventi a favore della comunità”, si potrebbe valutare la possibilità di destinare risorse – quantomeno ad tempus – anche alle scuole paritarie o ad altre istituzioni che si ritengano meritevoli di un sostegno finalizzato al bene comune. Al di là di tutto, vale la pena ricordare che la Chiesa non si muove per difendere semplicemente le proprie opere: forte della sua tradizione educativa, ha a cuore la scuola, la scuola tutta, nella sua complementarietà con la famiglia. Allo Stato chiede di saper riconoscere e sostenere questa collaborazione, che va a beneficio di tutti.

In questa prospettiva, papa Francesco – proprio incontrando il mondo della scuola – ricordava un proverbio africano: «Per educare un figlio ci vuole un villaggio». E spiegava: «Per educare un ragazzo ci vuole tanta gente: famiglia, insegnanti, personale non docente, professori, tutti!». Se su questa via ci si riconosce, è troppo attendersi risposte conseguenti?


NOTA DELLA CONFERENZA EPISCOPALE PIEMONTESE

Scuole Paritarie

La scuola paritaria non vuole privilegi

Nei giorni scorsi la presidenza della Cei ha inviato un comunicato in cui manifesta a livello nazionale la preoccupazione che il governo non lasci senza aiuti adeguati le tantissime scuole paritarie che in tutto il paese svolgono un lavoro eccellente, con passione e spesso con sacrifici aggiuntivi da parte di chi vi lavora, per offrire qualità dell’offerta formativa, dell’ambiente educativo e del clima scolastico.

Anche nelle nostre Diocesi piemontesi sono migliaia i bambini, i ragazzi e gli adolescenti che frequentano questi istituti, con alle spalle famiglie che hanno fatto una scelta educativa ben precisa, e che ora rischiano di non poter riprendere il prossimo anno scolastico per mancanza di adeguato sostegno da parte del decreto Rilancio.

A livello nazionale vogliamo far sentire una voce autorevole, e a livello locale vorremmo vi raggiungesse la nostra voce di pastori, vicini al proprio gregge, in questo momento di difficoltà e di lotta, di una battaglia per la presenza e per la libertà educativa.

Torino, 19 maggio 2020

+ Cesare Nosiglia, presidente Cep


Dalla presidenza Cei appello e solidarietà per le Paritarie

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La presidenza della Conferenza episcopale italiana torna a rilanciare la forte preoccupazione espressa in queste settimane da genitori, alunni e docenti delle scuole paritarie, a fronte di una situazione economica che ne sta ponendo a rischio la stessa sopravvivenza.

Le paritarie svolgono un servizio pubblico, caratterizzato da un progetto educativo e da un programma formativo perseguiti con dedizione e professionalità.

Le forme di sostegno poste in essere dal decreto Rilancio – in relazione alla riduzione o al mancato versamento delle rette, determinato dalla sospensione dei servizi in presenza, a seguito delle misure adottate per contrastare la pandemia – ammontano a 65 milioni per le istituzioni scolastiche dell’infanzia e a 40 milioni per le scuole primarie e secondarie, a fronte di un miliardo e mezzo destinato alla scuola tutta.

Si tratta di un passo dal valore innanzitutto culturale, rispetto al quale si chiede al Governo e al Parlamento di impegnarsi ulteriormente per assicurare a tutte le famiglie la possibilità di una libera scelta educativa, esigenza essenziale in un quadro democratico.

Tra l’altro, le scuole paritarie permettono al bilancio dello Stato un risparmio annuale di circa 7mila  euro ad alunno: indebolirle significherebbe dover affrontare come collettività un aggravio di diversi miliardi di euro.

Come presidenza della Cei chiediamo con forza che non si continuino a fare sperequazioni di trattamento, riconoscendo il valore costituito dalla rete delle paritarie. A nostra volta, stiamo verificando la possibilità di contribuire a sostenere alcune migliaia di studenti della scuola paritaria secondaria di I e II grado: un aiuto straordinario alle famiglie più in difficoltà, da imputarsi al bilancio Cei del 2020. Si tratterebbe di circa 20mila borse di studio, che agevolino l’iscrizione al prossimo anno scolastico, a tutela – per quanto possibile – di un patrimonio educativo e culturale unico.
Uniamo le forze, già in vista dell’imminente passaggio parlamentare, per non far venir meno un’esperienza che trova cittadinanza in ogni Paese europeo, mentre in Italia sconta ancora pregiudizi che non hanno alcuna ragion d’essere.