Don Sciortino: le famiglie alle prese con i Social network

ALBA Nell’ambito della Settimana della comunicazione celebrata nella diocesi di Alba, il 29 maggio scorso, don Antonio Sciortino, ex direttore di Famiglia Cristiana e ora direttore di Vita Pastorale, ha trattato il tema “La famiglia alle prese con i social network”.  Pubblichiamo il testo della sua relazione tenuta in sala Riolfo ad Alba.

LA FAMIGLIA ALLE PRESE CON I SOCIAL NETWORK

Messaggio di papa Francesco per la Giornata mondiale delle comunicazioni sociali: “Siamo membra gli uni degli altri” (Ef 4,25). Dalle social network communities alla comunità umana

(Alba – Sala Riolfo, via V. Emanuele 19, ore 17.30)

 Premessa

Per la 53.ma Giornata mondiale delle comunicazioni sociali, che si celebra il giorno dell’Ascensione (quest’anno il 2 giugno), papa Francesco ha preso l’ispirazione per il suo Messaggio da un versetto della lettera di san Paolo agli Efesini (4, 25): “Siamo membra gli uni degli altri” (Dalle social network communities alla comunità umana). E’ un invito a stabilire anche nella rete relazioni umane autentiche e vere. Il nostro tempo, oggi, è profondamente segnato da Internet e dai social network, che sono pervasivi nella vita di ciascuno di noi, soprattutto delle nuove generazioni e dei cosiddetti Millennials. Con l’avvento del digitale, siamo di fronte a una della più grandi rivoluzioni nella storia di tutta l’umanità. E in questi ultimi anni, c’è stata un’accelerazione quanto a sviluppo e nuove tecnologie, come non c’è stato in venti secoli di storia.

Le nuove generazioni sono quasi antropologicamente diverse da noi adulti. Hanno un nuovo codice linguistico. Nascono quasi già predisposti all’uso di questi nuovi media. Il digitale sta profondamente trasformando il mondo, la nostra vita personale, i rapporti e le relazioni all’interno della famiglia, della scuola e della società. Non siamo semplicemente in un’epoca di cambiamenti, ma stiamo assistendo a un vero cambiamento d’epoca. Di cui dobbiamo renderci conto, a ogni livello. Ci sono anche forti implicazioni per la Chiesa, che oggi fa fatica ad annunciare il Vangelo, soprattutto ai giovani, in un mondo in continua trasformazione. Anche le parrocchie faticano a tenere i giovani. Ma la fuga dalla Chiesa riguarda anche gli adulti, e le donne in particolare, che formavano lo “zoccolo duro” dei praticanti e anche del gruppo dei catechisti. (Vedi libri di don Armando Matteo: La fuga delle quarantenni; e anche: La prima generazione incredula, editore Rubettino)).

Anche per la Chiesa, non basta più una pastorale di cambiamenti, fare cioè piccoli cambiamenti e aggiornamenti per adeguarsi al mondo d’oggi e raggiungere le famiglie e i giovani in particolare. Occorre un cambiamento di pastorale, trovare nuove vie adatte al mondo d’oggi. Si tratta di avviare una vera conversione in chiave missionaria, come ha chiesto papa Francesco al Convegno ecclesiale di Firenze (2015), affidando alla Chiesa italiana la sua Esortazione apostolica Evangelii gaudium come programma per un profondo rinnovamento della pastorale, cominciando con l’abbandono della tentazione di ripetere il passato, perché si è sempre fatto così.

A maggior ragione, oggi, in un mondo che non è più cristiano. Anzi, c’è molta indifferenza verso il fenomeno religioso. Non è un rigetto del sacro o del trascendente, né un rifiuto aggressivo: gli atei conclamati ormai sono ben pochi. Piuttosto è una forma di apatia religiosa: che Dio esista o meno, per i giovani e molte famiglie, è la stessa cosa. La messa è quasi del tutto abbandonata.  E le percentuali dei credenti che frequentano la chiesa la domenica è sempre più in ribasso. Il cardinale Gianfranco Ravasi ha inventato una nuova parola per descrivere questa indifferenza religiosa. L’ha definita “apateismo”, neologismo che mette assieme i due termini: “apatia” e “ateismo”.

Il secolarismo, ormai, è dilagante in Italia e nell’Occidente. Si tende a relegare Dio e la religione nel privato, senza alcun riflesso nella vita pubblica. Viviamo in un’epoca di postcristinità, dove nascere ed essere cristiani non è più un fatto automatico, come nel passato. E’ una realtà di cui dobbiamo renderci conto e accettarla tra i cosiddetti “segni dei tempi”. Né basta sbandierare un Vangelo e un rosario nei comizi pubblici per ristabilire la cristianità e l’identità religiosa di una nazione, come fa qualche politico strumentalizzando la religione e i simboli religiosi a scopi elettorali.

Con i giovani, soprattutto, c’è un problema di comunicazione. Non riusciamo più a calare il Vangelo nella loro realtà di vita. Né a tradurlo nei loro codici linguistici, che non sono più i nostri, ma quelli della rete e del mondo digitale. Oggi, come ha scritto il teologo don Armando Matteo, siamo di fronte alla “prima generazione incredula”. La cresima non è più il sacramento che conferma la maturità cristiana dei nostri ragazzi, ma è il sacramento che certifica il loro abbandono della Chiesa. I Millennials hanno imparato a fare a meno di Dio. E il Vangelo non è più un punto di riferimento per le scelte importanti della loro esistenza.

 

Potenzialità e rischi della rete

La rete in sé è uno strumento neutro. E’ come un acquedotto che può trasportare acqua fresca e dissetante, ma anche acqua torbida e avvelenata. La rete può aprirci un orizzonte nuovo che ci fa persone, ci aiuta a crescere nel nostro sapere e nella coscienza umana e civile. Ma un cattivo uso della rete può enfatizzare gli aspetti più negativi del nostro essere umano e della società, alimentando sui social campagne denigratorie, pregiudizi, incitamenti all’odio, alla xenofobia, al razzismo. E, come avviene, nei gruppi di ragazzi o a scuola, può dare vita a crudeli forme di cyberbullismo: una gogna mediatica che spesso porta a gravissime conseguenze: Tantissimi ragazzi si sono tolti la vita per non aver avuto la forza di sopportare derisioni e insulti fatti circolare in rete dai loro stessi coetanei. Per non dire delle aberrazioni e delle relazioni negative che si possono stabilire in rete, come tanti facili adescamenti, tra cui quello dei minori a scopo sessuale.

Il desiderio di ogni essere umano di entrare in rapporto con gli altri, per uscire dalla propria solitudine, è connaturato al nostro vivere. Citando san Basilio, papa Francesco nel Messaggio per la Giornata mondiale delle comunicazioni sociali ricorda che “Nulla è così specifico della nostra natura quanto l’entrare in rapporto gli uni con gli altri, l’aver bisogno gli uni degli altri”. Internet, a suo modo, risponde a questa esigenza dell’essere umano. Non a caso le parole-chiave di Facebook, il social network più potente in questi anni, sono “condivisione” e “amicizia”. Ma questo desiderio di comunione e di fare comunità non sempre trova una facile soluzione sia in rete che nella stessa società, che si mostra sempre più ostile e sfilacciata. E che tende a chiudersi e a costruire muri, più che ponti di condivisione e di solidarietà.

Il sociologo Nando Pagnoncelli fotografa la situazione del nostro Paese, usando l’immagine di tante “comunità difensive”. Rispetto a un mondo percepito come caotico e ostile, ci si chiude all’interno di cerchi ristretti, di gusci protettivi, in aggregazioni rassicuranti. In rete il fenomeno è ancor più evidente, per cui – come osserva Francesco – “le community spesso rimangono solo aggregati di individui che si riconoscono attorno a interessi o argomenti caratterizzati da legami deboli”.

E, allo stesso tempo, la rete si rivela come “uno dei luoghi più esposti alla disinformazione e alla distorsione consapevole e mirata dei fatti e delle relazioni interpersonali”. La rete, come ricorda il Messaggio del Papa, è una “risorsa del nostro tempo”, è una “fonte di conoscenze e di relazioni un tempo impensabili”. Ma, al tempo stesso, è una realtà piena di contraddizioni: “Occorre riconoscere”, dice il Papa, “che le reti sociali, se per un verso servono a collegarci di più, a farci ritrovare e aiutare gli uni gli altri, per l’altro si prestano anche a un uso manipolatorio dei dati personali, finalizzato a ottenere vantaggi sul piano politico ed economico, senza il dovuto rispetto della persona e dei suoi diritti”.

Talvolta, i social sono lo sfogatoio delle peggiori passioni e istinti umani, che si alimentano di insulti, odio e istigazione alla violenza nei confronti di chi non appartiene alla propria community. Circolano in rete tantissime fake news, costruite appositamente per screditare chi non fa parte di uno stesso mondo sociale o politico. Facebook, di recente ha chiuso alcuni siti, riconosciuti come diffusori di false notizie per mettere in cattiva luce avversari politici. Una falsità, cioè una fake news, ripetuta mille volte e rilanciata in rete con migliaia di like d’approvazione, alla fine passa per essere vera. Nessuno verifica o certifica la verità

Ormai, nella comunicazione in generale e anche su Internet, prevale il concetto di verosimiglianza. Basta che una notizia sia verosimile per essere accreditata come vera. E, spesso, su autentiche “bufale”, come si chiamano in gergo giornalistico le false notizie, si costruiscono autentiche campagne di diffamazione. Con ingenti danni per l’immagine e la dignità delle persone. Oggi, la verità sembra non interessare nessuno. Si parla, appunto, di “verosimiglianza”, di “post verità”, di “verità alternativa” e di fake news.

 

Un salto di qualità: da “strumento” ad “ambiente”

Da quando Internet è stato disponibile, la Chiesa ha sempre cercato di promuovere l’uso a servizio dell’incontro tra le persone e della solidarietà tra tutti. Ma c’è un salto di qualità che dovremmo cominciare a fare. Finora, forse, abbiamo considerato la rete come uno strumento, dicendo che è importante l’uso che ne facciamo. Un buon uso porta conseguenze positive, un cattivo uso degenera in forme aberranti. Oggi, questo modo di pensare è insufficiente, è riduttivo. Come ci ricorda il Papa, la rete non è soltanto uno strumento, ma è un ambiente. Qualcosa, quindi, non da usare, ma da vivere. Tutti, oggi, siamo immersi nell’ambiente mediale, ci viviamo dentro. Anche quando non ci facciamo caso o rifiutiamo questo sistema. E, allora, la domanda che dobbiamo porci non è più che uso dobbiamo fare della rete, ma : “Come viviamo al tempo della rete? E, se siamo cristiani: Che testimonianza diamo in questo mondo mediale?

Come dicono i sociologi, oggi noi viviamo nell’era “biomediatica”, siamo come accompagnati da una “nuvola” (“cloud”), che custodisce i nostri dati, amplifica a dismisura la memoria umana. Tablet e smartphone, ormai, sono un’applicazione del corpo, quasi una protesi: non riusciamo più a farne a meno.  Non possiamo vivere senza. Se usciamo, dimenticandoli a casa, ci sentiamo sconnessi col mondo intero, isolati dalle proprie community, cui siamo associati per amicizia, per lavoro, per interesse o per semplice condivisione di qualche hobby. Senza questi mezzi ci sentiamo privi della viralità dei nostri messaggi e del piacere dei like.  Ormai, siamo schiavi delle 3T: Tv, telefonino e tablet.

“L’ambiente mediale”, come ricorda papa Francesco, “oggi è talmente pervasivo da essere ormai indistinguibile dalla sfera del vivere quotidiano”. Tutti controlliamo il telefonino di continuo, dalla mattina quando ci alziamo alla sera quando andiamo a dormire, per vedere chi ci ha contattato o per inviare un ultimo messaggio con WhatsApp. Siamo totalmente immersi on line. Sempre connessi. Ormai, il mondo “virtuale” è molto più “reale” di quanto crediamo. Tante operazioni della vita quotidiana, dalla prenotazione di un treno o di un albergo, ormai si fanno solo on line. Gli appuntamenti personali li fissiamo tramite WhatsApp. E le convocazioni per un raduno o una manifestazione politica si fanno in rete.

 

Famiglia e social network

Internet e i nuovi media non vanno demonizzati. Anche quando in famiglia e nei rapporti tra genitori e figli creano notevoli difficoltà di relazione e comunicazione. Gli adulti non devono screditare le nuove tecnologie, perché i ragazzi “adorano” la rete. Internet è una grande opportunità che la tecnologia e il progresso ci hanno messo a disposizione, permettendo a tutti di essere protagonisti nel processo dell’informazione, che non è più unidirezionale, ma circolare. E facilitando una più ampia partecipazione a processi di coinvolgimento e a una democrazia più diretta.

Ne abbiamo un esempio nel nostro Paese, con la rapida ascesa del maggior partito italiano grazie anche – se non soprattutto – alla rete e a una Piattaforma digitale. Basta solo non diventarne schiavi. O, peggio, usare la rete per manipolare i consensi della gente. La rete dovrebbe essere la finestra che ci permette di aprirci sul mondo, ma attenzione a non trasformarla in una vetrina per rispecchiarci e per esibire il proprio narcisismo e individualismo sfrenato. Come avviene con l’uso, spesso smodato, dei selfie.

Di fronte al mondo digitale e all’uso che ne fanno oggi i ragazzi, molte famiglie sono spiazzate e non sanno come comportarsi. Pensare di spegnere il computer o vietare Internet ai figli è quasi impossibile. Se non controproducente. Ormai fa parte della loro vita quotidiana. Con Internet ci fanno di tutto: ci fanno i compiti, parlano con gli amici, leggono le notizie, si scambiano messaggi, navigano… Internet è una nuova sfida per le famiglie. E ha anche evidenziato un “buco generazionale”.

In questi ultimi anni, come ha scritto un sociologo, all’interno della famiglia abbiamo assistito a una vera rivoluzione copernicana: “Fino agli Anni novanta la conoscenza veniva trasmessa di padre in figlio e ognuno apprendeva dal proprio genitore. Oggi non è più così. I padri, ad esempio, devono rivolgersi imbarazzati ai figli per imparare l’uso di Internet o per inviare una e-mail. In questo complesso mondo digitale, noi adulti riusciamo a muoverci solo con l’aiuto dei ragazzi. Sono essi, compatibilmente alle loro esigenze, che si concedono ai genitori! Cosa mai avvenuta in millenni di storia. Questo nuovo rapporto può essere devastante”.

Oggi, sono i bambini a insegnare a genitori frustrati l’uso delle tecnologie, sia per inviare un sms o per vedere un programma sulla Tv satellitare. I ragazzi hanno una dimestichezza quasi innata nell’uso delle nuove tecnologie, non hanno bisogno di dover leggere il manuale delle istruzioni. A tre anni i bambini utilizzano benissimo la tastiera del computer. Della rete oggi non possiamo più farne a meno. Attenzione, però, a non cadere e a non restare impigliati nella rete. Se per i ragazzi i nuovi media sono una sorta di protesi di cui non si privano in nessun momento, per molti genitori il telefonino, ad esempio, è una sorta di cordone ombelicale elettronico che serve per tenere sempre sotto controllo i figli, in qualsiasi momento, ovunque essi si trovano. Spesso, la concessione del telefonino a bambini molto piccoli, che non sanno che farsene al di là dei giochi, è giustificata propria da questa ragione. La “reperibilità” dei figli mette a posto la coscienza dei genitori. Una telefonata li tranquillizza. Hanno l’impressione di poter tenere sempre sott’occhio il proprio ragazzo.

In altre occasioni, il computer in particolare, serve da babysitter. I genitori sono contenti che il loro figlio se ne stia tranquillo in camera, passando ore davanti allo schermo, navigando o giocando coi videogiochi. Sottovalutano, però, i rischi di un’eccessiva esposizione o di un uso smodato e non consapevole dei nuovi media. I ragazzi vanno educati a un “uso responsabile” e “consapevole”. Sono digitalizzati e tecnologici, ma spesso sono umanamente e culturalmente carenti. Mancano loro criteri di discernimento e di valutazione, anche dal punto di vista etico. La rete appiattisce tutto, mette tutto allo stesso livello. E’ difficile distinguere il vero dal falso, il bene dal male. O anche saper valutare l’importanza o la priorità di una notizia rispetto ad un’altra. Tutto ciò può aumentare lo smarrimento dei nostri ragazzi.

E’ importante, quindi, il ruolo della famiglia e della scuola, nell’aiutarli a saper “navigare” e discernere. di Il problema, però, è esse sono in grado di farlo. E se hanno la preparazione necessaria per “navigare” assieme ai figli, per scoprire le opportunità ma anche i rischi della rete e di alcuni siti. Tra un clic e l’altro, navigando in totale libertà su Internet, è possibile cadere nei pericoli della pornografia o della pedofilia. Rischi da non sottovalutare. Il consumo della pornografia, grazie alle reti, è ormai dilagante, una sorta di epidemia. Ma non riguarda solo i ragazzi. Prende tutta la popolazione.

Per i genitori è sempre meglio spendere tempo, energie a educare, a discutere e valutare, piuttosto che sbrigarsela infastiditi con una serie di proibizioni e restrizioni. E’ importante utilizzare la rete assieme ai figli. Abolire Internet è come abdicare a un pezzo della vita. L’educazione alla responsabilità, da parte dei genitori e degli insegnanti, è il filtro più adatto per proteggersi contro i guasti che la comunicazione produce quando non diventa dialogo, quando non cerca veri interlocutori.

Sia in famiglia che a scuola si tratta di mettere a punto una “dieta mediatica” che non provochi né obesitàanoressia da computer. A furia di consultare Internet, tanti ragazzi rischiano di perdere il contatto con la realtà. Per questo, ogni tanto, è importante spegnere il computer e uscire di casa. “L’illusione più frustrante”, scrive uno studioso (Paolo Landi), “è quello di credere di possedere tutta la conoscenza del mondo: basta connettersi e il mondo è ai nostri piedi. Ma la vera conoscenza è, prima di tutto, esperienza. Se ci chiudiamo in una stanza a navigare su uno schermo, piano piano perderemo l’esperienza del mondo”. Si perdono, soprattutto, le emozioni della vita reale. Internet rischia d’essere una “trappola” per i ragazzi, quando anziché giocare a pallone o stare all’aria aperta con i propri amici e compagni, si limitano a scrivere post su Facebook, perdendosi così una buona fetta della loro crescita e tante opportunità di incontri e amicizie vere.

Occorre “navigare” non solo nel mare virtuale, ma anche nel mare degli spazi aperti. Chiudere, quindi, le finestre dello schermo e aprire quelle di casa. Parlare con amici in carne e ossa, invece di chattare e fare amicizie virtuali on line. La rete è una grande opportunità, ma va usata o vissuta con senso critico. Bill Gates, il fondatore di Microsoft, permetteva ai propri figli di stare davanti al computer solo 45 minuti al giorno. Oggi, invece, c’è una tale la dipendenza in molti ragazzi, che se togliamo loro il computer o il telefonino vanno in tilt, come se avessero una crisi di astinenza, allo stesso modo di chi è dipendente da una droga.

E questo è un lato oscuro della rete, con community che tendono a isolare tantissimi ragazzi. E c’è anche il fenomeno dei giovani “Hikikomori”, termine giapponese che significa “stare in disparte”. Mezzo milione di ragazzi giapponesi e migliaia di ragazzi italiani (circa 100 mila) fanno un uso smodato di Internet, stanno chiusi nella loro cameretta, non escono mai, non vogliono alcun contatto con l’esterno. L’unica forma di relazione è la rete. Una dipendenza preoccupante per loro, per le famiglie e la società.

 

Chiesa e nuovi media

Comprendere che il virtuale è reale, oggi, è importante per tutti. Anche per la Chiesa in vista della sua missione evangelizzatrice. I nativi digitali, ad esempio, non credono né sanno che cos’è la Provvidenza. Al suo posto, per loro esiste l’algoritmo o l’app, che risolve ogni problema. E il “Regno dei cieli”, forse, lo confondono con la “nuvola” (il “cloud”), che incamera un’infinità di dati digitali. Se, ad esempio, un parroco non coglie l’importanza della rete, rischia di alienarsi una fetta importante della popolazione e della parrocchia, per lo più di giovani. E rischia anche di non sfruttare preziose occasioni per stare vicino ai propri parrocchiani, o di non intercettare nuovi potenziali fedeli. Quello trascorso in rete, se ben finalizzato, non è tempo perso per i preti e i parroci. Sono nuove opportunità di pastorale al tempo del web.

La rete è un ambiente da vivere, e dove testimoniare anche la nostra fede e i nostri valori. Non è una dimensione altra dall’esistenza quotidiana. Non è un mondo parallelo, ma è parte della realtà di tutti i giorni. La rete tuttavia, come ricorda Francesco, “non è alternativa ma complementare all’incontro in carne e ossa. Bisogna riappropriarsi, in forma nuova, di un ruolo di intermediazione differente da quello degli algoritmi”. I social nascono per favorire la comunità. “Occorre spezzare le spirali di odio sul web”, l’ha papa Francesco ai ragazzi nella Giornata mondiale della gioventù a Panama. E creare comunità e comunione. Di recente, l’hanno confermato un gruppo di giornalisti che hanno firmato, nella città di san Francesco, una sorta di Decalogo, chiamata Carta di Assisi. In uno di questo punti o comandamenti hanno scritto: “Se male utilizzate, le parole possono ferire e uccidere. Ridiamo il primato alla coscienza: cancelliamo la violenza dai nostri siti e blog, denunciamo gli squadristi da tastiera e impegniamoci a sanare i conflitti. Le parole sono pietre, usiamole per costruire ponti”.

Francesco dà il buon esempio di come si usa e si vive la rete. I suoi profili Twitter, in sette lingue, superano 45 milioni di follower. Che poi li rilanciano ad altri. Solo così riesce a raggiungere una fetta ampia di ascoltatori, per lo più giovani. L’uso dei nuovi media da parte del Papa non ne mortifica la sua autorevolezza, come affermano quanti sono contrari alle nuove tecnologie per annunciare e testimoniare il Vangelo. La rete è connaturale alla Chiesa. D’altronde, Gesù stesso parlava per parabole e usava i tweet del suo tempo. Che altro sono i famosi loghia o compendi della sua dottrina, che troviamo nei Vangeli e negli Atti degli apostoli, se non degli straordinari tweet?  Come, ad esempio: “Il Regno dei cieli è vicino, convertitevi e credete al Vangelo”. Un tweet davvero straordinario.

 

Antonio Sciortino

già direttore di Famiglia Cristiana e attualmente direttore di Vita Pastorale