Il ricordo di don Tablino a dieci anni dalla morte

Sabato 4 maggio alle 15:30, nella sala riunioni del Duomo in via Vida 1 si è tenuta una tavola rotonda per ricordare i 10 anni dalla morte di don Tablino.

Sono intervenuti Padre Nicholas Muthoka, missionario della Consolata, don Rinino Bartolomeo, missionario Fidei Donum albese a Marsabit, don Giacomo Tibaldi missionario a Marsabit, Silvio Veglio, un volontario laico a Marsabit. E’ stato presentazione il libro di Erika Grasso -Incontri con l’altro. Missionari “in cammino” tra i Gabra del Kenya. A coordinare gli interventi è stato don Gino Chiesa.

Alle 18 la Messa in Duomo

Don Tablino a dieci anni dalla sua morte

Uomo di confine tra verità e cultura

Don Paolo Tablino, illustre cittadino di Alba, presbitero missionario Fidei Donum della Diocesi di Alba, negli ultimi anni Padre della Consolata, da dieci anni è tornato al Padre.  Lo ricordiamo con affetto per ricoprire insieme alcuni aspetti della sua vita.

Uomo

Nella sua vita ha aperto strade di dialogo, con una umanità schietta, a volte scanzonata, piena di amicizie mai superficiali. Chi lo incontrava “sapeva con chi aveva da fare” ed era costantemente sorpreso dalla sua capacità di entrare in dialogo mai in superficie. Ebbe amici credenti e dichiaratamente non credenti. Diceva don Michele Do che l’amicizia è l’ottavo sacramento. Gli anni nella azione cattolica, nel CTG, negli Scout e nel Csi hanno lasciato ricordi indelebili di avventure, di ricerca e di spiritualità. Le migliaia di lettere scritte in seguito sono un segno della sua umanità, provata dal deserto e da una sintesi felice tra pensiero e azione. A diversità di molti che dividono l’umanità tra i “nostri” e gli altri la vita di don Tablino è una risposta molto efficace a chi innalza barriere.

Ma nel suo umano non trascurava anche l’aspetto economico nella vita personale con uno stile di rigorosa povertà e nella chiesa metteva in guardia suggerendo in una lettera all’amico Mons. Rossano:”Sono totalmente d’accordo con te che si deve cambiare in stile circa l’uso dei beni economici, sia nella Sede centrale che nelle curie diocesane. Pensa che le diocesi, almeno in Africa, vanno disperatamente cercando mezzi, dummodo veniant, dalle varie organizzazioni dello sviluppo senza badare né alla pessima impressione data dai Vescovi ai laici pensosi, né al legame che così si stabilisce con ideologie, tutt’altro che cristiane, sottostanti a molte organizzazioni per lo sviluppo.

Uomo di cultura e dialogo

Metto insieme cultura e dialogo perché gli uomini e le donne che si incontrano portano con sé tratti indelebili del luogo in cui vivono e delle relazioni che di conseguenza intrecciano.  Nella omelia del Vescovo di Marsabit Peter Kihara diceva: “Tablino è un dono. Era la pietra angolare della nostra Chiesa a Marsabit. Ha scritto il Vangelo nella perfezione della sua vita. Aveva nel suo volto il sorriso della fede e dell’amore, che ha toccato tutti, io e voi. Aveva la luce di Dio: portate voi ora questa luce”

Ha acceso una luce intensa e non invadente sulle culture tribali, sui costumi dei Gabra del Nord Kenya, con opere di assoluto valore come “I Gabra del Kenya” ed. EMI del 1980. Con l’amico don Venturino svolse un lavoro quotidiano di presenza e di conoscenza da vicino della vita dei Gabra. Studi che gli hanno valso la conoscenza e l’amicizia di studiosi di tutto i mondo.

A don Rossano scriveva il 23 nov. 1973: “Vorrei ora dirti una bella cosa: la nostra esperienza tra i nomadi (sono esattamente tre mesi il 4 gennaio) è arrivata ad una conclusione cortissima: che i pastori Gabbra – pur nel loro ambiente aridissimo e nella durezza della vita – sentono come ogni uomo i problemi fondamentali della vita. Quanto avrei desiderato che tu fossi stato con noi in questi mesi quando Don Venturino – con quel suo fare quasi socratico – estraeva dalla mente e dal cuore di questi uomini le conclusioni sugli eterni problemi dell’uomo (dove andiamo? etc…). Era quello che tu hai sempre insegnato: l’”homo religiosus” visto in concreto tra le tribù più sperdute dell’Africa”.

Annunciare Gesù Cristo, ma come?

Uguale dappertutto che cosa vuol dire, eliminare le culture dove si vive o entrare nell’uomo religioso con profondo rispetto? L’interrogativo fu preso molto sul serio dai nostri missionari, fu oggetto di dibattito e di grandi corrispondenze con don Rossano. Dalla lettera di Pentecoste 85: “Come vedi stiamo facendo il passo decisivo e delicato di lasciare in avvenire la cura pastorale ai locali. Dobbiamo puntare unicamente su una intensa formazione spirituale lasciando che lo Spirito guidi i nostri futuri sacerdoti a fare le scelte che crederanno di fare, oppure dobbiamo fare una riflessione sulle realtà umane, tenendo conto sia della cultura nomade che degli orientamenti nuovi di sviluppo”.

“Con calma e serenità”, scrive in un’altra lettera, o con dibattiti infuocati fin nel cuore della notte, testimoniava don Molino, su come inserire il Vangelo nella cultura di quella gente senza stravolgere né il Vangelo né i riti di quelle antiche culture.

  • Il fraterno e forte compagno di missione, don Venturino diceva: “Ripulire la faccia della Chiesa stessa, onde emerga e sia di più facile percezione la sua nota qualificante di sacramento di salvezza e di popolo di Dio, ridimensionandosi nei servizi sociali sul principio della sussidiarietà. Occorre dare e presentare all’africano un modello di chiesa africana: la vita, la cultura, le feste, i riti sono il luogo dove l’inculturazione mette radici e germoglia, cresce e si sviluppa per dare i suoi frutti ecclesiali dopo. Il soggetto di questa trasformazione è la gente, la comunità che sente gli eventi della sua vita e li celebra.
  • Si richiedono traduzioni di Bibbia e preghiere comprensibili, rispetto di usi e costumi tradizionali, il superamento della colonizzazione traendo dalla esperienza concreta dell’africano capacità di accoglienza del linguaggio umano di Gesù”. La esperienza di don Venturino, abitando in una tenda nei pressi di una manyatta con frequenti visite di don Tablino, hanno permesso di trovare gli elementi necessari e sufficienti per una impostazione valida del lavoro di evangelizzazione. I silenzi, i primi dialoghi, la preghiera appartata, il privilegiare la testimonianza a qualsiasi altro gesto religioso… “La credibilità della persona rafforza e rende credibile qualsiasi buona notizia”.

Tra i sogni sulla chiesa, di Tablino e Venturino, ne colgo uno, questo: una chiesa che parla dopo aver ascoltato e solo dopo aver ascoltato.

Don Tablino e la sua profonda spiritualità

Un capitolo aperto e da riscoprire, un itinerario di conversione continua a partire dal Vangelo, dal suo carattere e da tre grandi figure di riferimento per la sua vita spirituale: Paolo di Tarso, Charles de Foucault, Madre Teresa.

Come vogliamo che questi stili di vita facciano parte di ALBA-MARSABIT “Diocesi senza frontiere”.

Gino Chiesa