Questa mattina è tornato alla Casa del Padre don Dellapiana Giuseppe che nell’ultimo periodo si era trasferito presso la Casa di Riposo “La Residenza” di Rodello. Le esequie saranno presiedute da Mons. Vescovo venerdì mattina alle 10,30 presso la chiesa parrocchiale di Vaccheria dove sarà ricordato nella veglia funebre domani sera alle ore 20,30. Verrà tumulato nel cimitero di Neive.
Don Dellapiana Giuseppe nasce a Neive il 13 aprile 1933 da una famiglia di contadini. Al termine della IV elementare inizia a lavorare con suo padre. E’ molto affezionato al gioco del pallone elastico. Una volta gli viene chiesto di giocare nello sferisterio “Mermet” di Alba. A 18-19 anni, il suo parroco, don Giuseppe Bollano, gli propone di studiare musica e imparare a suonare l’organo per guidare il canto durante le funzioni religiose. Accetta l’invito, abbandona il gioco del pallone e inizia a pensare al suo futuro. Dopo lunghe riflessioni con don Bollano e la lettura di vari libri, sceglie la vita monastica. Il 15 novembre 1960 entra nel monastero delle Tre Fontane di Roma. Dopo pochi giorni, gli ritornano in mente alcune parole del suo parroco che era morto due mesi prima: “… puoi diventare sacerdote”. Seguendo il consiglio di padre Chiesa (sacerdote somasco) va a Cherasco per riprendere a studiare. All’inizio di luglio 1962 ritorna alla Tre Fontane, il 15 agosto, festa dell’Assunta, inizia i due anni di noviziato. Sceglie il nome di Antonio. Nel 1966 inizia lo studio della teologia nella facoltà francescana del “Seraphicum”. Il 21 dicembre 1969 viene ordinato sacerdote e circa due mesi dopo gli viene affidato l’incarico di “priore”. Il 26 febbraio 1973 sale sul Monte Soratte, restaura il monastero, abbandonato da alcuni anni, che diventa un luogo di riflessione e di preghiera. La sua presenza suscita molto interesse. Anche se al monastero si può arrivare solo a piedi con una salita di 1 km, parecchie persone chiedono di potersi fermare qualche giorno. Lo chiedono anche tre giovani sacerdoti di Alba. Nel 1976 chiede di essere “incardinato” nella Diocesi di Civita Castellana per portare a termine i lavori iniziati. Il Vescovo, mons. Marcello Rosina, condivide la sua richiesta e gli affida alcuni incarichi diocesani. Un suo amico, padre Enrico Bartolucci, che era vescovo del Vicariato di Esmeraldas in Ecuador, gli chiede di aiutarlo nella formazione del primo gruppo di seminaristi. Avendo terminato tutti i lavori che aveva programmato, dona tutto alla Diocesi di Civita Castellana e va in Equador. Mentre lavora per la formazione dei seminaristi, accetta di predicare corsi di esercizi spirituali e scrive due libri in lingua spagnola: uno per i sacerdoti e l’altro per i cristiani impegnati. Morto il suo amico mons. Enrico Bartolucci, lascia il seminario e l’arcivescovo di Quito, mons. Antonio Gonzales, gli chiede di essere parroco di una nuova parrocchia nel sud della città. Gli impegni che ha in Ecuador uniti a quelli che aveva in Italia, lo costringono a ritornare a Roma prima del previsto. Visto la sua precaria salute, gli viene consigliato di ritornare vicino ai suoi familiari. Chiede a mons. Sebastiano Dho, Vescovo di Alba, se lo può accogliere nella sua diocesi. Lo accoglie volentieri e gli affida la responsabilità delle parrocchie di Castelletto Uzzone e Gottasecca, l’aria dell’Alta langa e le camminate quotidiane in mezzo al verde dei campi, sono per lui una vera medicina. Dopo cinque anni chiede al Vescovo di non avere più incarichi amministrativi. Si ritira nella casa parrocchiale di Vaccheria e riprende a vivere secondo la Regola di S. Benedetto.
Queste tre definizioni bene rappresentano i tre momenti salienti della sua vita interamente consacrata al Signore.
La sua infanzia in una famiglia tipicamente contadina dalla quale ricevetteuna educazione improntata alla soddisfazione dei bisogni dello spirito maanche alla più concreta esistenza: fatta di lavoro nei campi, al quale egli-come molti giovani della sua generazione nella stessa condizione economica- fu condotto fin dalla tenera età.
La sua giovinezza e la sua formazione fu caratterizzata dalla vita monastica: il silenzio, la preghiera e il lavoro riempivano le sue giornate e formarono il suo carattere.
Nella maturità il Signore lo chiamò ad essere missionario questa volta oltreoceano: Quito, capitale dell’Ecuador e anche lì troviamo la sua opera di divulgazione religiosa fatta di predicazione, di incontri con i missionari e con i giovani seminaristi, ma soprattutto di opere concrete: in Ecuador, con l’aiuto dei suoi molti amici egli ha lasciato la sua traccia con varie opere e con la costruzione nel villaggio di Rocafuerte di una Chiesa dedicata alla Madonna delle Grazie del Soratte, in Ecuador per annunciare il Vangelo in modo infaticabile a quelle genti che incontrava nelle missioni.
Gli ultimi decenni della sua vita li spese, come sacerdote, nella sua cara Diocesi di Alba dove era nato e cresciuto con la sua famiglia, prima come responsabile delle Parrocchie di Castelletto Uzzone e Gottasecca e poi come collaboratore qui a Vaccheria.
Lo stile monastico, la preghiera e il silenzio lo contraddistinsero fino agli ultimi giorni.
“Un cammino” la sua vita, ancor prima che religiosa, del percorso di un essere umano che nella Chiesa, con essa e per essa si immerge in esperienze di vita nelle quali il punto fermo è la capacità di trasformare la fede in operosità, di aggregare attorno ad obiettivi condivisi persone diverse, assumendo come punto di partenza la predicazione evangelica.
Sono convinto che le parole di San Paolo proclamate nella prima lettura: “Sia che viviamo, sia che moriamo, siamo dunque del Signore” hanno trovato in don Giuseppe un autentico testimone.
Quando ogni tanto lo incontravo, qui a Vaccheria, e in ultimo in Seminario e alla residenza di Rodello, mi colpiva la sua semplicità e umiltà ammantata di spiritualità e di preghiera, tipico della vocazione monastica.
Ringraziamo insieme il Signore per il dono che ha fatto alla Chiesa che è in Alba un sacerdote come Mons. Giuseppe, che ha saputo mettere in risalto il grande valore del silenzio e della preghiera che non dovrebbero mai mancare nella vita di ogni cristiano e in particolare di noi sacerdoti.
Lui non amava apparire ma era sempre disponibile all’ascolto e al servizio tutte le volte che gli veniva richiesto. Il giorno di San Giuseppe l’ho incontrato, ormai moribondo, e l’ho affidato allo Sposo di Maria e Custode della Chiesa oltre che protettore dei moribondi, perché lo accompagnasse con Maria nel trapasso che stava per compiere, l’ultimo tratto del cammino della sua vita.
Nella gloria del cielo ora potrà vivere nella contemplazione in eterno, così come ha sempre desiderato e intercedere per tutti, affinché non venga mai meno nella Chiesa il carisma della preghiera e della contemplazione.
A Maria, Madre dei Sacerdoti, a San Giuseppe e a tutti i Santi affidiamo l’anima del nostro caro confratello affinché sia accolto nel Suo regno di pace e di amore per sempre.
Amen.