Celebrata la figura di don Vigolungo nella Giornata del Seminario

ALBA Prosegue, in occasione della festa del Seminario, la tradizione di ricordare una figura significativa. A un anno di distanza dal ricordo di don Bussi, a trent’anni dalla morte, è sembrato doveroso ricordare don Agostino Vigolungo, suo fraterno amico e per cinquant’anni padre spirituale del Seminario maggiore, insegnante, predicatore e scrittore. Si è scelto di riscoprire e approfondire la sua spiritualità con una relazione di Battista Galvegno, tenuta il 24 gennaio scorso, Giornata del Seminario, a cui segue la biografia del sacerdote di Benevello.

Premesse:

  • Il contesto ecclesiale italiano di metà Novecento, prima del Concilio. È in fermento, anche se ufficialmente domina ancora l’ecclesiologia tridentina, nella formulazione di Bellarmino, che definì la Chiesa come “l’aggregazione (coetus, un termine di Cicerone!) degli uomini uniti dalla professione della medesima fede cristiana, dalla comunione dei medesimi sacramenti, sotto la guida dei legittimi pastori, innanzitutto dell’unico vicario di Cristo in terra”. I laici sono “i plebei o i popolani ai quali non è affidata alcuna parte del governo della Chiesa” (Disputationes, t. III, l. IV, cap. II). In questo contesto, verso la metà del secolo scorso emergono due novità: una riflessione sulla Chiesa finalmente teologica non più limitata alla sfera giuridica e una grande attenzione alla dimensione spirituale, intesa come rapporto diretto tra il singolo fedele e Gesù Cristo (1943, Mystici corporis Christi). La Chiesa non è solo una società di cui fa parte chi è iscritto nel registro dei battesimi; la Chiesa è una comunità, un corpo vivo: tutti i battezzati sono chiamati a vivere L’imitazione di Cristo; tutti sono chiamati a vivere in Cristo, come ben spiegato nella proposta spirituale di uno dei testi che ha segnato la rivoluzione spirituale di quegli anni, Columba Marmion, Cristo vita dell’anima. Altri alimenti alla vita spirituale arrivano dalla spiritualità eucaristica e mariana. Don Agostino era un grande estimatore di Columba Marmion, santo abate irlandese (1858-1923) che poneva al centro della sua spiritualità benedettina l’invito ad ogni battezzato a riscoprire il progetto salvifico di Dio, che in Cristo ci ha resi tutti figli, partecipi del suo Corpo mistico, chiamati non solo a fuggire il peccato, ma a reduplicare Cristo nella nostra vita. Per scomodare ancora Bellarmino, anche i “plebei e i popolani” sono chiamati a partecipare alla vita di Cristo!
  • La formazione spirituale nell’arco di tempo 1950-80, nel Seminario di Alba era affidata a due grandi pastori-maestri: don Triverio e don Vigolungo (che aveva iniziato il suo servizio di Padre Spirituale nel 1935, a soli 26 anni! Don Triverio dieci anni dopo, nel 1945). Essi si completavano a vicenda, delineando un processo di formazione a tappe successive. Don Triverio era specializzato nell’insegnare i “fondamentali” della vita spirituale. Il suo testo di riferimento era un libretto che tutti abbiamo maneggiato nei nostri anni di seminario minore: “Il seminarista in preghiera”. Certo è un testo datato, ma i passaggi che delinea sono sempre quelli. Nel cammino spirituale, come in ogni processo di crescita, ci sono tappe obbligate. Io, ad esempio, per scrivere al computer o per mandare messaggi via WhatsApp, continuo ad usare le competenze acquisite quando ho imparato a scrivere intingendo il pennino nel calamaio. Anche la preghiera e la vita spirituale si basano su competenze elementari, come la lettura implica il sillabare o l’esecuzione di una sinfonia implica il solfeggio. Don Triverio, con competenza e con pazienza, per cinque anni, insegnava i fondamentali – come pregare, come dire il rosario, come fare meditazione, come fare adorazione… –, poi passava la mano a don Vigolungo che poteva intraprendere il suo ruolo di guida in un cammino dagli orizzonti via via più ampi, mirando alle vette della spiritualità. Come scrive nel libro Quelli che mettono in gioco la vita, il suo intento è di offrire “un po’ di luce sui grandi orizzonti del “gioco”, qualche motivazione ragionata per affrontarlo e qualche accorgimento per giocarlo il meglio possibile” (p. 7).
  • Lo stile originale di don Agostino. Come ricorda, nel libro-raccolta di testimonianze curato da don Ciravegna e pubblicato nel 1987, Mons. Rossano, “culturalmente è stato un autodidatta. La formazione ricevuta dai maestri del Seminario era decisamente datata. Non ebbe la fortuna (parole sue) di frequentare l’Università. La sua formazione era però solida: “Amava gli scrittori contemporanei, soprattutto gli inglesi di cui ammirava lo humor; leggeva i testi di teologi come Newman, Adam, Guardini, Grand-Maison”. Era appassionato di storia della Chiesa, materia che fu chiamato ad insegnare, senza grande successo, come ricorda, con benevola ironia, lo stesso Rossano. Negli ultimi anni si appassionò a von Balthasar”. “Ci sono due modi fondamentali di essere uomini di cultura: uno è l’accumulazione di un vasto sapere, per la realizzazione di una sintesi completa e grandiosa [è fin troppo facile vedere qui il ritratto di don Bussi]. L’altro modo è raggiungere in profondità le sorgenti dello spirito umano, coglierne in qualche filone essenziale il dinamismo ascendente: qui la vastità e la sintesi del sapere contano meno: ciò che importa è l’autenticità della sorgente, la tensione del dinamismo e la verità dell’approdo. Don Agostino appartiene a questa famiglia di spiriti”. Sintetizzare un pensiero dinamico, in movimento, è cosa difficilissima. Cercherò di farlo seguendo il filone della spiritualità.

  Il concetto di spiritualità di don Vigolungo. Il primo problema è definire la spiritualità, un termine oggi molto usato e spesso equivocato. Una tesi accreditata fa risalire la parola ad una lettera di San Girolamo (+ 420): “Fa’ in modo che tu possa progredire nella spiritualità. Stai attento a non perdere il bene ricevuto come un custode incauto e negligente. Corri per non diventare pigro. Affrettati, per comprendere più velocemente. Seminiamo nello Spirito per raccogliere una messe spirituale abbondante” (Epistola VII,9). Don Vigolungo, come maestro di spiritualità, condivideva questa visione dinamica, ma proponeva una spiritualità feriale, dell’ordinario. Potremmo definirla come:

  • Uno stile di vita, costruito nel tempo, che permane nel tempo: non un fenomeno passeggero.
  • Un modo di vivere la fede, frutto della cooperazione tra grazia di Dio e impegno umano.

Gli esempi più utili a chiarire il concetto sono la cultura sportiva o musicale. Prendiamo la cultura musicale: non è il momentaneo entusiasmo per un brano musicale o un autore, ma una attitudine costruita nel tempo. Alla base c’è una dote naturale o dono dello Spirito (nessuno può darsi da sé una voce intonata o un orecchio assoluto!), poi studio, studio, studio, solfeggio, prove, allenamento. Questa attitudine, una volta acquisita, non sparisce se per una settimana non si ascolta musica, non si canta o non si suona. Se però viene trascurata troppo a lungo, si perde. Nel libro Quelli che mettono in gioco la vita, don Agostino cita la battuta di un pianista: “Se sto due giorni senza esercitarmi mi accorgo che viene a mancarmi qualcosa; se sto una settimana se ne accorgono anche i miei figli; se poi sto quindici giorni se ne accorge anche il pubblico” (p. 21). Questo vale anche nella preghiera e nel rapporto con Dio.

Un cammino spirituale ha una sua concretezza, che passa attraverso il libro: persone e comunità sono figli dei libri che leggono. È vero: la rivelazione passa da persona a persona, prima che da libro a libro, ma senza libro non si è in grado praticamente né di trasmettere né di accogliere rivelazione. Il libro è sempre il primo mezzo. Una conferma viene dalle parole di Santa Teresa: “Entrare in meditazione senza un libro era per me come entrare in guerra contro un esercito formidabile. Il libro mi era non solo di compagnia, ma anche di scudo contro cui andavano a finire gli assalti dei molti pensieri importuni: era insomma la mia consolazione” (Le risposte di Santa Teresa d’Avila, p. 49). Quanti libri di meditazione e lettura spirituale ha consigliato don Agostino!

  1. La base antropologica della spiritualità: è fondamentale, perché una spiritualità per quanto alta non sta in piedi da sola. L’uomo non è un puro spirito: l’anima non può prescindere dal corpo. La spiritualità presuppone dunque una antropologia. Questa viene sviluppata nei primi due libretti scritti da don Agostino, L’uomo gloria di Dio (1959) e Cristo è vivere (1967). Nel primo, con grande vivacità, citando incontri, dialoghi, testi letterari delinea il cammino dell’uomo verso Dio. L’idea di fondo è che solo con questo incontro l’uomo raggiunge la sua piena maturità e realizzazione. Solo una immagine, emblematica: “Niente è più triste, arido e desolato della cima di una montagna se il sole non la illumina. Così è per l’uomo: per splendere deve essere illuminato da Dio” (p. 41).

Il discorso si completa nel secondo libretto, Cristo è vivere. Don Bussi, nel suo ricordo di don Agostino a un anno dalla morte, ha raccontato l’entusiasmo suo e di don Agostino per il cristocentrismo, che, sulla scia della teologia di Bart, si stava diffondendo in Europa. In Cristo è vivere don Agostino ci ha offerto la sua visione ad un tempo dell’uomo e di Cristo; un piccolo manuale di antropologia cristologica. Il titolo fa chiaramente riferimento al “Per me vivere è Cristo” (Fil 1,21) di San Paolo, spiegato così: “La vita di Gesù non è tanto quella che si può ricomporre dai vangeli, di cui egli è informato per filo e per segno… La vita di Gesù per S. Paolo è la vita che Gesù vive in lui e in coloro che con lui hanno la stessa fede: è la vita che Gesù vive nei cristiani. Egli non può pensare Gesù se non in sé e negli altri” (ivi, p. 18).

Don Agostino, nella prima parte di Cristo è vivere, sviluppa il messaggio di Paolo e in una serie di affermazioni icastiche, spiega che vivere in Cristo significa essere:

  • Uomo in lui: Gesù Cristo è il modello e la chiave interpretativa dell’uomo.
  • Intelligente in lui: Cristo attira a sé attraverso il pensiero; invita a pensare, a non avere paura del pensiero, perché, come teorizzato da S. Agostino, “Fides quaerens intellectum”.
  • “Finalizzato” in lui, per superare quella impressione di fallimento che ad un certo punto della vita assale tutti, anche i santi. “Cristo ti aiuterà a mettere la meta al punto giusto”, ad andare oltre le cose.
  • Organizzato in lui: “sappiamo tutti il malumore, il disagio, la noia che è la mancanza di qualcosa che unisca. Essere dappertutto e non essere in nessun luogo; pensare mille cose e non avere un pensiero, avere mille perché per fare una cosa e non averne nessuno… Cristo sarà la tua unità, il tuo ordine, la tua solidità… uno a cui condurre tutte le cose” (p.38-39).
  • Valorizzato in lui. Chi è veramente valorizzato nella vita? Ha risposto Gesù puntando la mano sulle viti in gemma e sviluppando la similitudine della vite e dei tralci: “La tua vita darà molti frutti a questo patto: che il tuo destino diventi parte del destino di Cristo. Unito a lui tutto diventa chiaro, tutto diventa utile, tutto ti dà la sensazione di creare” (p. 42).

Sentiamo in queste citazioni l’eco delle espressioni care a don Agostino, quegli squarci di umanità e di finezza psicologica rivelative di un’altra delle sue “passioni”: la psicologia non come studio accademico ma come aiuto a capire l’interiorità delle persone, i moti concreti dell’animo umano.

Attenzione però: quando don Agostino parla dell’uomo, parla dell’uomo vero, senza cedimenti al docetismo, allo spiritualismo, al miracolismo, della serie: “prega e tutto si risolverà”. Un pensiero: “Ci sono depressioni che restano anche a leggere tutta una biblioteca sulla speranza; ci sono fissazioni, scrupoli e paure che restano anche a leggere cento volte il capitolo 6° di Matteo, là dove si dice che non cadrà un capello del nostro capo se non per il nostro bene, o il capitolo 8 della Lettera ai Romani, dove si afferma che tutto torna a bene per chi ama Dio” (Quelli che mettono in gioco la vita, 133). Di queste cose si soffre, senza sentirsene umiliati, come di qualunque malattia che non dipende da noi: i mali da cui non si riesce a guarire – e ce ne sono! – diventano croci da portare!

Concretamente e realisticamente: “I cristiani pregano anche perché prevedono… Pregano per quando verranno le ore difficili. Quando arrivano quelle ore oscure che non c’è neppure più tempo o modo o ispirazione per pregare. Bisogna aver pregato prima” (Cristo è vivere, p. 105): quante volte don Agostino ce lo ha ripetuto!

  Su questa solida base umana, rafforzata da Cristo, don Agostino ha costruito la sua spiritualità, fondata su 5 principi ispiratori e edificata su altrettanti pilastri.

 

  1. I principi ispiratori della sua spiritualità:
  2. La dottrina del corpo mistico. “Non ti chiedo di sussultare come davanti ad una parola che ha il fascino della novità. È vecchia come la Chiesa. Non ti chiedo neppure di sentirti interessato in partenza come davanti ad una risposta sicura ai tuoi dubbi, alle tue incertezze, alle tue indecisioni. Neppure mi offendo se mi dici che non ti sembra il tema più urgente…, quando c’è la fede da salvare. Solo mi affretto ad assicurarti che si tratta di fondamenti, non di raffinatezze” (Cristo è vivere, p. 50). Il segreto delle anime grandi è questo: sono persone nella cui vita c’è Cristo, persone la cui vita è Cristo. “Essere cristiano non significa soltanto fare corpo con delle persone che condividono le idee e le mete: significa essere insieme a loro il Corpo di Cristo” (ivi, p. 57). Se vivi unito a lui ci sono in te una realtà, una vita e una potenza che assolutamente non si esauriscono nell’onestà del tuo agire o nella perfezione del tuo comportamento: il Cristo si unisce alle anime e attraverso la sua umanità le riconcilia con Dio (Teologia del Corpo Mistico di Padre Mersch). Nella vita concreta, “quando trovi in una persona la perseveranza e la gioia di essere cristiano, qualcosa che rende visibile e amabile il vangelo, guarda bene: dietro c’è certamente un gruppo, un movimento, una associazione, qualcosa di più ampio di se stesso, dove non si sa se sia più quello che ha ricevuto o quello che ha dato, ma è certamente quello che l’ha fatta vivere” (ivi, p. 64). Solo camminando insieme possiamo fare storia: quale giovane generoso non lo desidera? Hitler ha potuto nascondere ai giovani tutto il buio della sua torbida idea concentrandoli in questo piccolo cerchio di luce: cambiare la storia. Quando un movimento riesce a trasmettere questa idea acquista un fascino irresistibile. Citando Teilhard de Chardin, don Agostino conclude: “è proprio questa certezza di fare parte del movimento ascendente dell’evoluzione spirituale dell’umanità, questa possibilità di essere utili che dà alle grandi anime una carica incredibile” (ivi, p. 130).
  3. L’ascolto-dialogo con i grandi maestri. Sono tanti i maestri di spiritualità di don Agostino. Tre mi sembrano emergere dalle risonanze nei suoi libri: S. Agostino per l’analisi dell’interiorità dell’uomo e per l’originalità del suo percorso di fede (“Se non entri in te stesso, nulla entrerà in te, anche se vivi tra libri e riviste, tra santi e maestri, ma se ti chiudi in te stesso, giungerai presto a povertà” Quelli che mettono in gioco la vita, p. 188); S. Ignazio di Lojola per il rigoroso percorso di analisi psicologica e spirituale che sta alla base dei suoi Esercizi Spirituali (la pratica di pietà che ha portato don Agostino a predicare in quattro continenti!), e soprattutto Santa Teresa D’Avila, a cui don Agostino ha dedicato uno dei sei volumi della collana “Annunciatori”, Le risposte di Santa Teresa D’Avila. Meritano una citazione le motivazioni della scelta della grande mistica: “Ho la netta impressione che i giovani aspirino a qualcosa che va al di là della nostra società materialistica, ma non lo trovano dove dovrebbero trovarlo. Questo perché siamo legati all’idea che per entrare nelle strade meno superficiali della preghiera debbano essere del tutto a posto…”; “Ho imparato per esperienza il male che si può fare ai giovani il voler pretendere che raggiungano una determinata misura di ascetismo morale, prima di introdurli nell’intimità della preghiera. Sappiamo che se Dio non accende scintille di amore… nessun cambiamento morale può essere seriamente desiderato e intrapreso”; “Uno dei primi interessi di Santa Teresa d’Avila era di persuadere le persone a pregare anche se erano ancora mondane o in stato di peccato. Essa vuole sperare che gustino il Signore: poi sarà lui a condurli alle rinunce necessarie” (p. 7-8). In una parola, bisogna puntare alle vette della spiritualità, senza lasciarsi ingabbiare nelle sabbie mobili del moralismo. Chi salva è Cristo
  4. Il Concilio e il magistero di Paolo VI. Come tutti noi che abbiamo vissuto, ad età diverse, quella stagione, don Agostino ha sentito la positiva, entusiasmante novità del Vaticano II. Ma questo era facile. Meno facile era, in quegli anni, cogliere la grandezza di Paolo VI, che del Concilio fu prima sostenitore fermo, poi sofferente interprete. Tra i testi più citati da don Agostino ci sono l’Ecclesiam suam e l’Evangelii nuntiandi: “Hai letto la Ecclesiam suam? Un documento pubblicato in un agosto silenzioso e deserto, quasi all’ombra del grande concilio. Bisogna leggerla per capire il concilio, come bisogna leggere le risultanze del concilio per capire l’enciclica. La Ecclesiam suam è il senso della maturazione spirituale di un uomo, la sintesi di una cultura e soprattutto di una profonda esperienza di Cristo… Ma un Gesù che è vivente ed operante nella Chiesa” (Cristo è vivere, p. 52-53).
  5. La teologia di Balthasar. Don Bussi, nella già citata commossa conferenza nel primo anniversario della morte di don Agostino, raccontò l’approdo alla teologia di Balthasar. “Così arriviamo all’età matura di don Agostino [anni 60-70], quando in Europa spuntavano due stelle teologiche di prima grandezza: Carlo Rahner e Urs von Balthasar e si trattava di scegliere… Si è scelto Balthasar perché è un tomista, poi perché è un uomo dottissimo: leggendo i suoi libri si impara un’infinità di cose; perché ha una tendenza mistica e non razionale come Rahner, e infine per la sua concentrazione cristologica, per cui qualcuno lo chiama il Barth cattolico. E tutti sanno che don Agostino si è buttato su questi libri, particolarmente sui sette volumi intitolati Gloria… Don Agostino ha letto e riletto e utilizzato Balthasar. Questa è stata la sua ultima formazione culturale, che rimane incisa anche nelle sue opere”. Ognuno dei dieci capitoli in cui sono divisi i primi cinque testi di meditazione pubblicati da Esperienze è introdotto dalla citazione di un passo di Gloria di Balthasar. Cinquanta citazioni non sono un indizio: sono una prova!
  6. La serenità, la gioia, l’umorismo: per Don Agostino erano doni di natura, rivelati anche dall’allegro disordine del suo studio, rafforzati e corroborati dalla lunga frequentazione con la cultura inglese, di cui ammirava lo humor. Lo ha messo bene in risalto don Stella, nel suo ritratto nel libro sui Sacerdoti del Novecento albese: “Che il Cristianesimo non è musoneria l’abbiamo capito da don Agostino e dal suo modo di fare”. Quanto allo humor, “sbocciava con la massima naturalezza nel bel mezzo di argomenti serissimi: e tutti abbiamo avuto, udendolo, quegli sfoghi contagiosi e liberatori del sorriso, per non dire della risata schietta, che sdrammatizzavano la situazione e rendevano più efficace la meditazione e la direzione spirituale” (p. 109). Ha anticipato l’immagine di una “Chiesa gioiosa che festeggia” (E.G., 87) cara a Papa Francesco.
  7. Cinque pilastri portanti: sono delineati con grande chiarezza nei suoi ultimi scritti, considerati da tanti il suo Testamento Spirituale. Questi libretti sono una autentica miniera d’oro. Non si possono leggere di corsa o distrattamente. Esigono fatica, per scavare e cercare in profondità. Offrono però autentici tesori, che proverò a sintetizzare con parole mie, limitando le citazioni, perchè sarebbero troppe.
  8. Un corretto e maturo rapporto con Dio: consapevoli che l’aver ricevuto tutto da lui ci consegna il compito di essere gloria di Dio (Essere rivelazione). Cosa significhi essere gloria di Dio, prima di Balthasar l’ha scritto san Paolo nella seconda lettera ai Corinzi: “Noi tutti, riflettendo come in uno specchio la gloria del Signore, veniamo trasformati in quella medesima immagine, secondo l’azione dello Spirito del Signore” (3,18). Nessun uomo brilla di luce propria; noi siamo come uno specchio, che deve riflettere la gloria di Dio. Lui è il principio del nostro essere, del nostro apparire, della nostra grandezza: dimenticarlo o presumere di fare a meno di Dio è quel tipo di vanità che Bernanos chiamava “la tranquilla sufficienza degli imbecilli” (p. 35). La Rivelazione però è come uno spartito musicale che per trasmettere la sua musica deve essere eseguito (p. 17): la gloria di Dio è la fede vivente di chi parla e crede.
  9. Una lettura dell’Antico Testamento in chiave profetica, alla sequela di Geremia e Isaia (Fratelli dei profeti). “Questa – leggiamo a p. 70 – fu sempre la missione dei profeti: salvare dalla deformazione, dalla falsificazione, dalla vanificazione la pratica religiosa”. Geremia, in particolare è letto come il profeta della Parola, che definisce “la gioia e la letizia del mio cuore” (p. 81) invitando a lasciar “lavorare in te la parola, come la vedresti volentieri lavorare negli altri”. Il fondamento della vita spirituale è sempre lo stesso: la Parola di Dio. L’ascolto della Parola e il dialogo con Dio sono come l’ossigeno, elementi indispensabili per tenere viva la vita spirituale. Isaia è il profeta che annuncia la presenza rassicurante di Dio in un mondo in progressiva desertificazione, ma capace ancora di fiorire, perché il bene può ancora germinare e portare frutti (p. 95). Fondamentale in Isaia è l’invito alla “seconda conversione”: tutti ricordiamo l’insistenza di don Agostino su questo passo fondamentale per la vita spirituale. La prima conversione è il salto della fede; la seconda conversione è accettare di essere “presi e portati da Dio” (p. 106), consapevoli del limite delle proprie capacità e delle proprie forze e Il cammino verso le vette della vita spirituale, fino alla santità non può prescindere da questo passo. La spiritualità di Don Agostino è impregnata di Bibbia, letta in chiave non tanto storico-critica, quanto sapienziale e spirituale: la Parola di Dio dà sapore alla vita e indica la meta del cammino spirituale.
  10. Una lettura del Nuovo Testamento in chiave relazionale, come incontro con Gesù vivo. La spiritualità deve poggiare sulla solida convinzione di essere amati personalmente da Dio. Questo suo amore per noi ci è stato manifestato da Gesù e, secondo don Agostino, ha la sua più efficace espressione nella “Preghiera sacerdotale” che anticipa e spiega la passione-morte-risurrezione (Quelli per i quali Gesù prega). Queste pagine di vangelo però non vanno solo lette; vanno meditate: solo la meditazione è fonte di entusiasmo e di carica di vita spirituale. Anche qui una citazione emblematica: “Fare meditazione non è avere di tanto in tanto o magari anche spesso dei pensieri spirituali. I latini distinguevano tra cogitationes (pensieri) e meditationes (una riflessione prolungata). I buoni pensieri sono paragonabili a un fuggevole controllo allo specchio per verificare di essere a posto; le meditazioni sono il mettersi e restare in forma” (p. 78). La stessa differenza che esiste tra lo sbocconcellare di corsa un po’ di cibo e il mangiare un pasto vero, seduti a tavola. E questo vale per entrambe le mense – del pane e della parola – immagine già presente nell’Imitazione di Cristo, al libro IV, 11, ripresa nella Dei Verbum, VI,21.
  11. Un sereno e positivo rapporto con se stessi, che aiuti a mettere in gioco la vita (Quelli che mettono in gioco la vita). È il testo da cui viene fuori l’immagine della vita spirituale come giocare bene le proprie carte, come mettere in gioco le proprie doti. Prendo solo tre brevissimi spunti. Il primo: a giocare siamo noi, con la pienezza della nostra umanità: “La contemplazione non è il vivere d’aria, ma alla costante presenza di Dio” (p. 60). Secondo: per impostare il gioco della vita dobbiamo, all’occorrenza, “couper court” (p. 23), tagliare corto, non lasciarci invischiare in riflessioni inutili avendo il coraggio di sorpassare, di andare oltre quello che ci blocca il cammino. Terzo: avere il senso del limite: “Fino alla fine ci porteremo dietro il peso di cose non finite. L’importante è aver trovare il centro di unificazione” (p. 61). Concretamente, ecco i limiti con cui fare i conti: il limite fisiologico cioè la salute, il limite intellettuale esemplificato dal Santo Curato d’Ars che pare copiasse abitualmente le prediche, il limite del carattere, facendo però attenzione a non farlo diventare un alibi, il limite della sensibilità, dell’entusiasmo: non sempre e non per tutta la vita si può andare a tutta, soprattutto quando si è a corto di benzina! (p. 181-182).
  12. Una corretta pietà mariana: avere in Maria un punto di riferimento. (Maria, icona della Chiesa e nostra). Una solida pietà mariana ha come punto di riferimento la Scrittura e la liturgia. Di qui la scelta di prendere spunto non più da Balthasar, ma dalle dieci orazioni delle messe votive della Vergine Maria del nuovo Messale. L’idea di fondo che riassume tutte le altre è questa: Maria è icona della Chiesa e nostra, perché spera, crede e ama (p. 146). Tutto il resto è secondario.

Conclusione: il senso del nostro ricordare.

Vorrei dirlo ancora con parole di don Agostino, tratte da uno dei due suoi libri che amo di più, Quelli che mettono in gioco la vita (l’altro è Cristo è vivere): parole che sono un mix di realismo e di equilibrio spirituale, quasi una fotografia dell’animo sacerdotale di don Agostino e del suo modo di concepire la direzione spirituale, forse la sua filosofia di vita, la radice della sua serenità: “Appoggiamoci al passato, ai momenti buoni, al ricordo dei momenti di fervore, quando la generosità ha toccato punti più alti che non adesso. Così saremo svincolati dalle malinconie, dal “non più voglia”, dagli scoraggiamenti e paure. Ricordiamo le tante volte che abbiamo visto svanire le paure e i “non più voglia” non appena abbiamo avuto la pazienza di pregare, di confidarci e di farci aiutare” (p. 215). Questo è stato don Agostino: un maestro di preghiera, un confidente, un aiuto su cui contare. L’abbiamo sperimentato in tanti. Ricordarlo oggi è stato un modo per dirgli il nostro Grazie!

Giovanni Battista Galvagno

SCHEDA BIOGRAFICA

Don Agostino Vigolungo (1909-1986)

  • Nasce a Benevello il 7 marzo 1909
  • Dopo gli studi nel Seminario di Alba viene ordinato prete da Mons. Re il 18 ottobre 1931
  • Viceparroco a Vezza d’Alba del 1932 al 1935
  • 1935: Direttore Spirituale del Seminario

Anni quaranta:

  • Insegnante di Religione al Liceo Govone, poi all’Istituto Magistrale di Alba
  • Assistente dei Maestri Cattolici.
  • Inizia la pubblicazione di “Controluce”
  • Pubblica il primo libro: “Se mi facessi suora?
  • Inizia la predicazione di Ritiri ed Esercizi Spirituali: attività che continuerà per tutta la vita

Anni cinquanta

  • Assistente diocesano di Uomini di Azione Cattolica
  • Pubblicazione della vita del Can Chiesa
  • Traduzioni di libri dall’inglese

Anni sessanta

  • Pubblicazioni di quattro libri: “Orientamenti”, “L’uomo gloria di Dio”, “Cristo è vivere”, “Giorgio Vignola, un maestro”
  • “Cameriere segreto” di Giovanni XXIII

Anni settanta

  • Vicario Episcopale per le Religiose
  • Visita e predicazione di Esercizi ai missionari in Kenya, Brasile, Pakistan e Bangladesh

Anni Ottanta

  • In occasione della celebrazione del cinquantenario della sua Ordinazione sacerdotale viene nominato Prelato ordinario da Giovanni Paolo II
  • Pubblica i sei testi della Collana “Annunciatori”: “Essere rivelazione, Fratelli dei profeti, Quelli per i quali Gesù prega, Quelli che mettono in gioco la vita, Le risposte di Santa Teresa d’Avila, Maria icona della chiesa e nostra”
  • Muore il 26 ottobre 1986