Messaggio per le comunità in occasione del primo maggio

COMMISSIONE REGIONALE PASTORALE SOCIALE DEL LAVORO, GIUSTIZIA E PACE, CUSTODIA DEL CREATO ALLE NOSTRE COMUNITA’

In questi giorni saranno tante le manifestazioni nelle piazze delle nostre città per celebrare la festa del primo maggio, e ricordare il valore del lavoro, la dignità dei lavoratori, chiedendo al mondo politico italiano, agli amministratori responsabili, alla società intera, attenzione e impegno.

Anche a livello diocesano, tanti nostri uffici di pastorale sociale e del lavoro e varie associazioni organizzano incontri e celebrazioni. Con questo messaggio vogliamo invitare con forza tutte le comunità ad attuare il magistero sociale di papa Francesco e le indicazioni dateci dai vescovi nel loro messaggio chiaro e incisivo.
Riguardo al lavoro provengono da ogni parte del nostro Piemonte segnali di sofferenza e criticità.

Le grida di aiuto di tanti buoni e seri imprenditori in gravi difficoltà ci spinge a “rivolgerci ai mondi della pubblica
amministrazione e della giustizia chiedendo loro di rimuovere gli ostacoli per chi il lavoro lo crea”

Mentre ringraziamo chi si impegna fortemente per offrire e creare lavoro buono, invitiamo gli amministratori e gli imprenditori che partecipano alle nostre comunità a maggiore coraggio e fiducia, così necessari per vivere
quella responsabilità sociale tanto essenziale in tempi di crisi di lavoro, di cambiamenti importanti, di
disoccupazione insopportabile. Diventa esigenza fondamentale per l’intera società il farsi prossimo, comprendere e condividere le urgenze di quel “ceto con minori competenze che rischia di finire tra i “vinti” del progresso,
abbandonato sulla riva”

Nelle nostre comunità, infatti, incontriamo lavoratori sfiduciati e famiglie in sofferenza per mancanza del
pane frutto del lavoro. Sono i volti stanchi dei lavoratori ascoltati a Chieri della Comital e dell’Embraco, degli operai del Tenda bis che a Limone Piemonte manifestano all’imbocco del tunnel per la Francia, dei giovani Rider di Foodora e di altre imprese – spesso multinazionali – che si sentono sfruttati in un lavoro che impedisce loro di guardare al futuro con fiducia, degli immigrati nei campi e nei cantieri, dei lavoratori della logistica, degli appalti, che spesso vivono situazioni degradanti. La presentazione dell’indagine sulla condizione lavorativa dei giovani piemontesi voluta dalla nostra Conferenza Episcopale Piemontese con la Regione Piemonte ha evidenziato quanto i nostri giovani non sono spesso aiutati adeguatamente a prepararsi e ad inserirsi nel mondo del lavoro, dove spesso si trovano con contratti brevissimi e senza adeguate tutele e salari.

Non possiamo tacere sulla questione della sicurezza sul lavoro. La rilevanza del tema, la rinnovata
drammaticità dei dati sugli infortuni e le malattie professionali, le mancanze e i ritardi, a partire dall’assenza
di una Strategia nazionale di prevenzione e dalle migliaia di aziende non in regola, sono fattori evidenti di
quanto ci sia necessità di porre il tema della tutela della salute e sicurezza al centro dell’attenzione del mondo del lavoro, come quest’anno fa in particolare il mondo del sindacato.

Di lavoro si muore e la legge sulla sicurezza è ancora inattuata. Il Piemonte si colloca al terzo posto per decessi sul lavoro nei primi 100 giorni dell’anno, quando nel Paese intero i decessi registrati son stati ben 176, con un preoccupante incremento del 13,6%.

Ci preoccupa, poi, la gravità dell’inquinamento atmosferico delle nostre città e del territorio piemontese, che
continua a superare i limiti concordati a livello europeo (dati 2018 del report Mal’Aria), l’esagerato consumo
del nostro suolo rubato alla sua vocazione di produrre cibo buono, la continua perdita di paesaggi belli,
preziosi per la qualità della vita della nostra gente e per produrre lavoro attraverso il turismo, il continuo
abbandono per mancanza di politiche adeguate della montagna.

Tutto questo è inaccettabile e non possiamo stare con le mani in mano. Ne va della coerenza della nostra vita
col vangelo di Gesù che ogni giorno (o almeno la domenica) ascoltiamo.

In un contesto culturale dove si è perso il senso profondo del lavoro per la dignità di ogni persona, come
Commissione Regionale ci impegniamo a collaborare con tutti voi nella ricerca e nella difesa di lavoro buono.
Camminiamo con coraggio, alla luce dell’insegnamento sociale della Chiesa e della nostra Costituzione, con i
nostri movimenti e le nostre associazioni e ogni uomo e donna di buona volontà, per “riscoprire la VOCAZIONE al lavoro, intesa come il senso alto di un impegno che va anche oltre il suo risultato economico, per diventare edificazione del mondo, della società, della vita”.

Messaggio per la Giornata del Lavoro

1°maggo 2018

“Il lavoro è travaglio: sono doglie per poter generare poi gioia per quello che si è generato insieme. Senza ritrovare una cultura che stima la fatica e il sudore, non ritroveremo un nuovo rapporto col lavoro e continueremo a sognare il consumo di puro piacere. Il lavoro è il centro di ogni patto sociale: non è un mezzo per poter consumare, no. È il centro di ogni patto sociale.”

Dal Discorso di Papa Francesco all’Ilva di Genova 27 maggio 2017

La quantità, qualità e dignità del lavoro è la grande sfida dei prossimi anni per la nostra società nello scenario di un sistema economico che mette al centro consumi e profitto e finisce per schiacciare le esigenze del lavoro. I due imperativi del benessere del consumatore e del massimo profitto dell’impresa hanno risolto il problema della scarsità dei beni e delle risorse necessarie per investimenti, innovazione e progresso tecnologico nella nostra società. Ma hanno finito per mettere in secondo piano le esigenze della dignità del lavoratore indebolendo il suo potere contrattuale, soprattutto nel caso delle competenze meno qualificate.

Questi meccanismi sono alla radice di quella produzione di scartati, di emarginati così insistentemente sottolineata da Papa Francesco. Essi ci aiutano a capire perché ci troviamo di fronte a tassi di disoccupazione così elevati, ancor più tra i giovani, e al fenomeno inedito dei lavoratori poveri. Se un tempo il lavoratore povero era una contraddizione in termini, oggi l’indebolimento della qualità e della dignità del lavoro porta al paradosso che avere lavoro (che molte volte rischia di essere un lavoretto saltuario) non è più condizione sufficiente per l’uscita dalla condizione di povertà.

Gli ultimi dati sulla distribuzione del lavoro, dei salari e della ricchezza confermano che la frattura tra Nord e Sud del mondo non è più una frattura geografica ma è delimitata dal confine delle competenze. Ci sono tanti Nord e Sud dentro ciascun paese, città, quartiere. Nei paesi ad alto reddito come nei paesi emergenti assistiamo a crescenti diseguaglianze interne tra un ceto istruito e preparato alle sfide dell’economia globale e un ceto con minori competenze che rischia di finire tra i “vinti” del progresso, abbandonato sulla riva.

Di fronte a questo scenario è innanzitutto necessario innovare il nostro metodo di azione. Farsi prossimo agli ultimi, comprendere e condividere le loro urgenze non è solo un compito pastorale ma diventa un’esigenza fondamentale per l‘ intera società in tutte le sue componenti (art. 2 della Costituzione) e un compito ineludibile per la classe politica. Abbiamo bisogno sempre più di forme di sussidiarietà circolare di solidarietà che vedano nuove configurazioni di collaborazione fra tutti i soggetti, senza particolarismi o primogeniture, ma come fondamento e fine del convivere responsabilmente insieme per un futuro di speranza a partire dal lavoro ‘centro di ogni patto sociale’.

Con il percorso che ci ha portato alle Settimane Sociali di Cagliari abbiamo camminato per le strade del nostro paese andando sui territori, individuando migliori pratiche e problematiche. Da questo viaggio nel paese abbiamo individuato tre urgenze fondamentali.

La prima è rimuovere gli ostacoli per chi il lavoro lo crea come sottolineato dal pontefice nel suo discorso all’Ilva di Genova. Creare buon lavoro (lavoro libero, creativo, partecipativo e solidale (EG n. 192) è oggi una delle più alte forme di carità perché genera condizioni stabili per l’uscita dal bisogno e dalla povertà. I mondi della pubblica amministrazione e della giustizia non possono essere distanti e separati da questa sfida e devono porsi l’obiettivo di rimuovere lacci e ostacoli evitando di essere un peso ed un freno.

La seconda è avere istituzioni formative (scuole, università, formazione professionale) all’altezza di queste sfide. In grado innanzitutto di suscitare nei giovani desideri, passioni, ideali, vocazioni senza le quali non esiste motivazione né sforzo verso l’acquisizione di quelle competenze fondamentali per risalire la scala dei talenti. Sogniamo un mondo nel quale i nostri giovani non si domandino semplicemente se potranno trovare un lavoro ma lavorino con passione e costanza per raggiungere l’obiettivo della loro generatività domandandosi quanto lavoro, valore sostenibile, quanto bene comune possono creare per la società in cui vivono. A questo fine l’incontro con il mondo del lavoro sin dai tempi della scuola, il confronto con le sue esigenze, lo stimolo allo sviluppo di competenze e al discernimento del proprio percorso di vita rappresentano elementi fondamentali per un sistema formativo che vuole aiutare i giovani ad inserirsi nella società ed evitare che finiscano nel vicolo cieco di coloro che non lavorano né studiano.

La terza è una rete di protezione per i soggetti più deboli, uno strumento efficace di reinserimento e di recupero della dignità perduta per gli scartati, gli emarginati che desiderano reinserirsi nel circuito di diritti e doveri della società. Su questo punto chiediamo alle nostre forze politiche di superare contrapposizioni strumentali e convergere su un comun denominatore di una rete di protezione universale efficace. Tenendo ben presente che dignità della persona non significa essere destinatari di un mero trasferimento monetario ma piuttosto essere reinseriti in quel circuito di reciprocità nel dare e avere, nei diritti e doveri che è la trama di ogni società. Se è vero che la mancanza di lavoro uccide, poiché genera “un’economia dell’esclusione e della inequità” (Evangelii gaudium 53) e produce inevitabilmente conflitti sociali la risposta al problema non può non essere ambiziosa. I giovani, gli imprenditori, noi tutti, credenti e uomini di buona volontà dobbiamo impegnarsi a riscoprire la «“vocazione” al lavoro», intesa come «il senso alto di un impegno che va anche oltre il suo risultato economico, per diventare edificazione del mondo, della società, della vita». Un buon lavoro è infatti dimensione fondamentale per svolgere il nostro ruolo di con-creatori e chiave fondamentale per la generatività, ricchezza di senso e fioritura della vita umana.

 

La Commissione Episcopale

per i problemi sociali e il lavoro,

la giustizia e la pace,

la custodia del creato